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Stragi di Capaci e via D’Amelio, chi c’era sopra il livello mafioso?

Il 23 maggio l'anniversario del massacro del 1992 in cui persero la vita il giudice Falcone, la moglie e gli uomini della scorta

Celebrazioni a Palermo in ricordo della strage di Capaci, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta: Vito Schifani, 27 anni Rocco Dicillo, 30 anni, e Antonio Montinaro, 29 anni.

A 31 anni di distanza si rafforzano i sospetti che a volere quel massacro, così come quello del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta, non sia stata soltanto la mafia ma anche apparati dei servizi segreti e un intreccio di poteri politici e massonici deviati, sovrastante al livello della ‘manovalanza’ mafiosa.

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Nella Quarto Savona Quindici, l’auto di scorta a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, c’erano i giovani poliziotti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Foto Twitter @poliziadistato V. Giannetti

“La mafia è un cancro che si può battere” 

Magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno demolito la presunzione mafiosa di un ordine parallelo” è il messaggio del capo dello Stato, Sergio Mattarella, il cui fratello Piersanti fu assassinato dalla mafia nel 1980. L’opera dei due grandi magistrati, prosegue il Presidente, ha svelato “ciò che la mafia è nella realtà: un cancro per la comunità civile, una organizzazione di criminali per nulla invincibile, priva di qualunque onore e dignità“. “L’azione di contrasto alle mafie va continuata con impegno e sempre maggiore determinazione. Un insegnamento di Giovanni Falcone resta sempre con noi: la mafia può essere battuta ed è destinata a finire” aggiunge Mattarella.

Capaci e via D’Amelio

Le stragi di Capaci e di via D’Amelio avvennero nel 1992 a distanza di 57 giorni, fra il 23 maggio e il 19 luglio. Trentuno sono gli anni che invece dividono i due eccidi mafiosi da una verità piena. Sono ancora in corso processi e nuove indagini. Fra condanne, assoluzioni e prescrizioni che contribuiscono a tenere aperto il conto con la giustizia. Un anniversario, quello di quest’anno, che cade pochi mesi dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss stragista, arrestato a Palermo il 16 gennaio scorso. Ovvero dopo tre decenni di latitanza, a 30 anni dall’arresto del boss dei boss Totò Riina (1993).

Stragi volute non solo dalla mafia

Gli attentati contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si consumarono in un contesto di complicità che va ben oltre il livello della mafia. In un quadro, certificato da una sentenza, di “colossale depistaggio“. Il 23 maggio del 1992, Giovanni Falcone, 53 anni, direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia e candidato alla carica di procuratore nazionale antimafia, era appena atterrato all’aeroporto di Palermo Punta Raisi con la moglie Francesca Morvillo, 46 anni, anche lei magistrato.

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Da sinistra in alto in senso orario: Giovanni Falcone, le auto esplose a Capaci, Vito Schifani, Antornio Montinaro, Rocco Dicillo e Francesca Morvillo. Foto Twitter @chetempochefa

Alle 17.58, sull’autostrada Trapani-Palermo, nei pressi di Capaci, la tremenda esplosione che li uccise con gli uomini della scorta. Circa 500 chili di tritolo piazzati dentro un canale di scolo esplosero mentre transitavano le Fiat Croma. La prima auto blindata – con a bordo i poliziotti Antonino Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo – fu scaraventata oltre la carreggiata opposta di marcia, su un pianoro coperto di ulivi. La seconda Croma, guidata dallo stesso Falcone, si schiantò contro il muro di detriti della profonda voragine aperta dallo scoppio. L’esplosione divorò un centinaio di metri di autostrada.

La strage di via D’Amelio

Il 19 luglio 1992, meno di due mesi dopo la strage di Capaci, Paolo Borsellino, 51 anni, da 28 in magistratura, procuratore aggiunto a Palermo dopo aver diretto la procura di Marsala, pranzò a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia. Poi si recò con la sua scorta in via D’Amelio, dove vivevano la madre e la sorella. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 chili di tritolo a bordo, esplose al passaggio del giudice, uccidendo anche i 5 agenti. Erano le 16.58. L’esplosione, nel cuore di Palermo, venne avvertita in gran parte della città. L’autobomba uccise Emanuela Loi, 24 anni, la prima donna poliziotto in una squadra di agenti addetta alle scorte; Agostino Catalano, 42 anni; Vincenzo Li Muli, 22 anni; Walter Eddie Cosina, 31 anni, e Claudio Traina, 27 anni. Unico superstite l’agente Antonino Vullo.

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Paolo Borsellino. Morì nella strage di vi d’Amelio il 19 luglio 1992

La denuncia di Borsellino

Poco più di un mese dopo, il 25 giugno, Paolo Borsellino denunciò la costante opposizione al lavoro e al metodo di Falcone di parti consistenti delle istituzioni. “Secondo Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione. Oggi che tutti ci rendiamo conto di qual è stata la statura di quest’uomo, ci accorgiamo come in effetti il Paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò a farlo morire il primo gennaio del 1988, quando il Csm con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Meli“.

A un certo punto, raccontò Borsellino secondo quanto riporta l’Agi, “fummo noi stessi a convincere Falcone, molto riottoso, ad allontanarsi da Palermo. Cercò di ricreare in campo nazionale e con leggi dello Stato le esperienze del pool antimafia. Era la superprocura“. La mafia “ha preparato e attuato l’attentato del 23 maggio nel momento in cui Giovanni Falcone era a un passo dal diventare direttore nazionale antimafia“.

La presunta trattativa Stato-mafia

Il 14 giugno 2022, 30 anni da Capaci e via D’Amelio la Corte di Cassazione ha confermato l’ergastolo per Salvatore Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello nell’ambito del processo Capaci bis. Di certo il 27 aprile 2023 la Corte di Cassazione ha messo la parola fine sulla presunta trattativa Stato-mafia. Gli ex ufficiali del Ros dei carabinieri, Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, “non hanno commesso il fatto“. Per il boss Leoluca Bagarella e per il medico Antonio Cinà, considerato vicino a Bernardo Provenzano, è invece intervenuta la prescrizione. Confermata l’assoluzione per l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri.

 

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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