Napoli campione d’Italia, la gioia “sospesa” è finita
Lo chiamano lo scudetto degli "oppressi", perché sa di riscatto. Aprirà un ciclo di successi? L'obiettivo adesso è la Champions
Una notte di gioia pazza come non capitava da 33 anni: Napoli risorge e si ricorda di essere una grande capitale del Mediterraneo anche per ciò che riguarda il calcio. Fuochi d’artificio più che a Capodanno, tutti in strada a cantare percorrendo la città a colpi di clacson. Rio de Janeiro a Carnevale non è altrettanto bella.
Una festa, quella del terzo scudetto, dopo i due vinti grazie a Diego Armando Maradona (1987 e 1990), che ha però anche un risvolto atroce. Un giovane di 26 anni è morto colpito da un proiettile, non è chiaro se per un regolamento di conti che nulla ha a che fare con la vittoria del Napoli. Tre persone sono rimaste ferite: una ragazza investita durante i festeggiamenti sarebbe in condizioni molto gravi.
La festa di Napoli
La gioia calcistica di Napoli è cominciata allo stadio Friuli di Udine. Pur se quasi tutto addobbato d’azzurro, non è il Maradona, ma va bene lo stesso. La sera del 4 maggio, al fischio finale di Udinese Napoli 1-1 i tifosi azzurri hanno invaso il campo per festeggiare la matematica conquista del campionato a 5 giornate dal termine. La rete a inizio ripresa di Osimhen – l’ex ‘brocco‘ diventato il fulcro vincente della squadra di Luciano Spalletti – ha annullato quella nel primo tempo di Lovric. E ha messo fine alla spasmodica attesa per l’inizio delle celebrazioni.
In ogni città d’Italia, da Torino a Palermo, i napoletani e i tifosi azzurri presenti sono scesi nelle piazze. A Napoli la città è letteralmente esplosa. Ma la festa scudetto era programmata nei minimi particolari da tempo. Da settimane. Da quando ormai era diventato chiaro che il ritmo altissimo del team spallettiano nessuna squadra avversaria poteva tenerlo. Così il fischio finale di Udinese-Napoli ha aperto il sipario su una notte indimenticabile. Che è stata comunque soltanto il prologo di un programma di festeggiamenti che culminerà il 4 giugno: ultima giornata di campionato.
Una squadra multietnica
Ma Napoli intanto si gode il suo delirio. Allo stadio Maradona erano in 50mila a guardare il match sugli 8 maxischermi predisposti di fronte a ciascun settore. Osimhen e compagni festeggiano negli spogliatoi, e Kvaratskhelia piange in disparte, avvolto nella bandiera della sua Georgia. Osimehn, ‘Kvara‘, Meret, Kim, Lobotka, Anguissa, Rrahmani: è un Napoli multietnico quello del terzo scudetto di Luciano Spalletti, che nulla ha a che fare con quelli di Ottavio Bianchi. Eppure il legame c’è e si chiama Diego Armando Maradona. “C’è stata anche la sua protezione” ha detto Spalletti, prima di commuoversi dedicando lo scudetto alla famiglia e al fratello Marcello, scomparso nel 2019.
Uno scudetto per aprire un ciclo
“Ora puntiamo alla Champions, Spalletti resta” ha annunciato pubblicamente Aurelio De Laurentiis colmo di soddisfazione, per altro determinando un certo risentimento nel tecnico toscano, che ha fatto capire di non essere stato prima interpellato in merito al suo futuro. “Finalmente! Una squadra di giovani talenti, una società sana e un pubblico di tifosi straordinari: un mix vincente che rappresenta soltanto l’inizio di un ciclo di successi.” Così il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. E la speranza di De Laurentiis e di tutta Napoli è proprio questa: aprire un ciclo di successi all’ombra del Vesuvio.
Il vulcano che troppo spesso è stato usato come simbolo di disprezzo e razzismo da altre tifoserie italiane nei confronti dei napoletani. Quella dei partenopei, dopo 33 lunghissimi anni, è stata anche, hanno detto in molti, la vittoria degli “oppressi“. Il suo sapore è più forte perché sa di riscatto: un bene sportivo e civile che Napoli più di altre città italiane rincorre sempre.