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È morto Francesco Nuti, addio all’attore e regista toscano

Da "Io, Chiara e lo Scuro" a "Caruso Pascoski" è stato il re della commedia negli Anni Ottanta e Novanta

Si è spento a 68 anni Francesco Nuti. L’attore e regista pratese che divenne celebre quarant’anni fa col film Io, Chiara e lo Scuro, all’insegna di una comicità surreale da toscanaccio irriverente e dolente, se n’è andato dopo lunghi anni di lenta agonia fisica. 

Nel 2006 cadde dalle scale nel suo appartamento romano e finì in coma subendo gravi danni neurologici. Cominciò da quel momento un calvario umano terribile. Dopo due mesi Nuti uscì dal coma e per 3 anni fu curato affinché potesse riprendere a camminare e a parlare. Restò invalido e nel 2011 apparve da Barbara D’Urso a Stasera che sera! e a una festa in suo onore, nel maggio del 2014, assieme agli amici Leonardo Pieraccioni, Giorgio Panariello e Carlo Conti, davanti a 7mila persone al Mandela Forum di Firenze. Le sue condizioni si erano ultimamente aggravate in seguito alle conseguenze di una caduta nella sua casa di Narnali (Prato).

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Francesco Nuti. Foto Ansa/Maurizio Brambatti

Francesco Nuti, icona degli Anni Ottanta

Nuti è stato protagonista di una commedia all’italiana che negli Anni Ottanta lo consacrò come attore e regista. Abituato a vivere tra la gente nei quartieri popolari di Firenze e Prato, fu cabarettista in tv con i Giancattivi (Alessandro Benvenuti e Athina Cenci). Cominciò poi il suo percorso d’attore cinematografico grazie al film A ovest di Paperino (1981) assieme ai due compagni di gag, per poi separarsi da loro ed iniziare la carriera solista proprio terminate le riprese di questo film.

Nel 1982 è il turno di un capolavoro di comicità come Madonna che silenzio c’è stasera, film venato di demenziale surrealismo. Ma anche di un imponente e doloroso realismo sulla condizione sociale della periferia. “O tu vai in Perù, o tu sposti la Chiesa, o tu vinci al Totocalcio” ripetono in tanti al protagonista Francesco che si barcamena tra una madre ingombrante, il possibile ritorno dell’ex fidanzata e la casuale vittoria a Dilettanti alla ribalta suonando uno stornello memorabile come Pupp’a pera.

Nuti però si fa conoscere e centra il colpaccio con Io, Chiara e lo scuro, autentica perla umoristica con il vero campione del biliardo Marcello Lotti, che finisce pure al Certain Regard di Cannes. Il sequel – Casablanca, Casablanca (1985) – consacrerà l’interprete toscano come attore umbratile sì, ma brillante e giocoso. Qui definitivamente regista dei suoi film, fino al successo commerciale di Tutta colpa del Paradiso (1985) e Stregati (1986). Per non parlare di Caruso Pascoski di padre polacco (1988).

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Francesco Nuti e Francesca Neri durante la Presentazione del film “Io amo Andrea” nel 1999. Foto Ansa/A. Bianchi

Le difficoltà personali

Nuti era al massimo, come Verdone, Benigni e Troisi, parlando all’Italia, ricambiato al botteghino, con la sua ruvida e genuina cattiveria carica però di tensione affettiva. Tuttavia è al momento del successo che, come non di rado accade agli artisti, scoppiano i problemi. E Francesco s’impantanò nella difficile accettazione di sé, sottolinea Il Fatto Quotidiano, definendosi un “incompreso” prima di tutto dai critici. E poi, forse, da quelle stesse donne improvvisamente arrivate “a palate” nella sua vita.

Dalla metà degli Anni Novanta comincia per Francesco Nuti la discesa della sua parabola artistica e umana. Subentrano problemi di alcolismo che certo non lo aiutano, nel tentativo di inseguire un film che gli consenta di svoltare e riprendere in mano le redini della sua brillante carriera perduta. Ci proverà con Il signor Quindicipalle (1998) e Caruso zero in condotta (2001). Poi la caduta, il recupero impossibile. E l’esposizione in pubblico degli ultimi anni che forse, pur nella convinzione di aiutarlo, si sarebbe dovuta evitare. Per non mortificare un attore e regista che si era fatto da solo e il cui nome resterà fra quello dei protagonisti del cinema italiano. Un artista capace di partecipare nel 1988 anche al Festival di Sanremo con la splendida Sarà per te, incisa poi anche dalla grande Mina.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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