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Ucraina, Wagner si ritira. E in Russia è il momento dei partigiani anti Putin

Prigozhin annuncia il completamento dell'operazione "Tritacarne Bakhmut" ma a Mosca cresce l'operatività dei cittadini russi che si oppongono al regime

Mentre in Ucraina sembra essere in via di completamento la ritirata dei mercenari russi del gruppo Wagner da Bakhmut, in Russia i partigiani della resistenza anti Putin escono allo scoperto. Se ne parla da mesi, ma adesso i gruppi di ribelli si sentono più forti e fanno sapere che intendono dare molto filo da torcere al regime di Mosca.  

Lo ha rivelato il quotidiano Avvenire con un servizio di Nello Scavo, nelle ore in cui Yevgeny Prigozhin, il capo dell’esercito privato più grande del mondo – i mercenari della Wagner – ha annunciato di aver completato l’operazione “Tritacarne Bakhmut“.

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Un carro armato della difesa di Bakhmut, in Ucraina. Foto Ansa/Epa Oleg Petrasyuk

Russia, via la Wagner da Bakhmut

Si deve notare – ha spiegato Prigozhin – che l’operazione del tritacarne Bakhmut è stata progettata principalmente non per prendere l’insediamento di Bakhmut. Ma per ‘macinare’ le unità delle forze armate ucraine e organizzare una tregua per l’esercito russo per ripristinare la sua capacità di combattimento. Il tritacarne Bakhmut ha ha svolto completamente il suo compito“.

In realtà, secondo vari osservatori, le parole del capo dei mercenari al soldo della Russia tenterebbero di mitigare una verità scomoda. Ovvero che nei combattimenti in prima linea in Ucraina, anche a causa del “tritacarne” di Bakhmut, in Donbass, il gruppo Wagner è passato da 55mila uomini in armi a 4-8mila uomini circa. Sono i dati pubblicati su Twitter dalla fonte open source @OSINTI1, che si definisce “aggregatore di news in italiano per combattere la disinformazione dai teatri di guerra attivi.” Prigozhin, inoltre, ha pubblicato sui social media video di violenta accusa nei confronti delle forze armate russe, accusate di averlo lasciato solo al macello.

Russia, incubo sabotatori

A proposito invece degli atti di sabotaggio e attentati in Russia si registra il crescere del fenomeno della resistenza anti putiniana. Se è vero che i due droni piombati in piena notte sulle cupole del Cremlino resteranno a lungo un mistero – con Mosca che accusa Kiev – nella capitale della Russia non si esclude che dietro il fatto ci siano le formazioni partigiane. Ovvero coloro che si stanno ribellando alla guerra in Ucraina voluta da Vladimir Putin. E che ora sarebbero in grado di colpire al cuore il centro del potere, mostrando che il regime è vulnerabile.

Il primo risultato, rivendicato dai partigiani-sabotatori come un successo è il blocco del sistema di geolocalizzazione satellitare gps a Mosca. Tanto che adesso i moscoviti non possono più chiamare un taxi, noleggiare una bicicletta, aprire il navigatore, a causa dello stop imposto dal Cremlino che teme nuovi sabotaggi. Come ha documentato Avvenire, i partigiani fanno parte di gruppi come Boak, che sta per Organizzazione combattente anarco-comunista. Poi c’è la rete di russi e bielorussi Stop the wagons, che gli attacchi li conduce mettendo in ginocchio i collegamenti ferroviari, essenziali per il trasporto di truppe e armi verso il fronte. A Minsk è attiva inoltre Bypol: gruppo clandestino di ex militari e poliziotti specializzati proprio nell’uso dei droni.

L’Esercito repubblicano nazionale

Lo scorso agosto Ilya Ponomarev, parlamentare della Duma fra il 2007 e il 2016, poi espulso dalla Russia per attività anti-Cremlino, aveva affermato che ci sarebbe la mano di un gruppo di partigiani russi dietro l’autobomba che uccise Darya Dugina. Ossia la figlia dell’ideologo Olexandr Dugin, vicino a Putin. Il dissidente, parlando da Kiev dove risiede, aveva sostenuto che l’attentato fosse opera “dell’esercito repubblicano nazionale (NRA)“. “Questo attacco apre una nuova pagina nella resistenza russa al Putinismo” le sue parole, come riportate dall’Ansa. Una pagina “nuova, ma non l’ultima“.

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Ilya Ponomarev. Foto Twitter @igorsushko

L’ex parlamentare di Novosibirsk, in Siberia, aveva letto in televisione quello che ha affermato essere un manifesto del gruppo partigiano in questione. Un documento in cui si definisce “Putin un usurpatore del potere e un criminale di guerra che ha emendato la Costituzione, scatenato una guerra fratricida tra i popoli slavi e mandato i soldati russi a una morte certa e insensata. E che sarà deposto“. Nel documento la figlia di Dugin viene descritta come “obiettivo legittimo perché fedele compagna del padre, che sosteneva il genocidio in Ucraina“. L’ex deputato fu l’unico a votare contro l’annessione della Crimea nel 2014: bandito da Mosca è diventato cittadino ucraino nel 2019. Dopo l’invasione dell’Ucraina, ha lanciato il programma televisivo February Morning in lingua russa per dar voce all’opposizione.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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