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L’Italia e l’8 settembre: 78 anni fa l’armistizio e il Paese nel caos. Mattarella a Porta San Paolo

Il Capo dello Stato ha reso omaggio agli oltre mille militari e cittadini che si opposero all'occupazione nazista di Roma e furono travolti

Nel giorno del 78° anniversario dell’armistizio dell’Italia durante la Seconda Guerra mondiale, l’8 settembre 1943, omaggio ai caduti della Resistenza da parte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il Capo dello Stato si è recato al Parco della Resistenza e a Porta San Paolo, a Roma.

La difesa di Roma

Si tratta del luogo più importante, assieme alla Montagnola e a La Storta, in cui alcuni reparti dell’esercito italiano, a cui si aggiunsero semplici cittadini, uomini e donne, si opposero di propria iniziativa ai tedeschi e furono travolti il 10 settembre 1943, dopo due giornate di strenui combattimenti. Furono 1.167 i caduti. Porta San Paolo divenne l’ultimo baluardo di una resistenza di popolo nella capitale abbandonata al suo destino da re Vittorio Emanuele III, dal capo del Governo, Pietro Badoglio, e dagli alti papaveri dello Stato maggiore delle forze armate, fuggiti verso il Sud.

Maurizio, 17 anni, primo caduto

Ma a Roma ci si organizzò e si combatté per ostacolare in tutti i modi i tedeschi anche alla Basilica di San Paolo, al Forte Ostiense a Porta San Giovanni, oltreché a Monterosi, a Bracciano, alla Manziana e a Monterotondo. Porta San Paolo, protetta da barricate e carcasse di vetture, vide in azione contro i tedeschi la divisione Granatieri di Sardegna, comandata dal generale Gioacchino Solinas, i Carabinieri della legione territoriale di Roma, i Lancieri di Montebello, lo squadrone Genova Cavalleria, alcuni reparti della divisione Sassari. Maurizio Cecati, 17 anni, morì qui. È forse il primo caduto nella lotta di liberazione cui è riconosciuta la qualifica di partigiano, decorato alla memoria.

Granatieri a Porta San Paolo
Granatieri a Porta San Paolo. La foto Wikipedia, di autore anonimo, è tratta da “Trenta anni di vita italiana” di Pietro Caporilli

Badoglio, il proclama dell’8 settembre

Ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza“. Con queste parole poco prima delle 20 dell’8 settembre 1943 il capo del Governo, il maresciallo Pietro Badoglio, stabilì il comportamento delle forze armate italiane in guerra, proclamando l’armistizio con gli Alleati, non più nemici. Sono passati 78 anni e leggendo queste frasi, che Badoglio aveva declamato ai microfoni dell’Eiar, l’ente radiofonico antesignano della Rai, si resta ancora stupefatti. Che significano? Si deve stare con gli americani quindi sparare ai tedeschi fino a quel punto alleati? O solo reagire se attaccati? Combattere o arrendersi?

Un patto segreto

Benito Mussolini aveva perso il potere il 25 luglio precedente, a seguito della seduta del Gran consiglio del Fascismo che lo aveva deposto. Il re Vittorio Emanuele III aveva nominato Badoglio capo del Governo. L’ex capo di Stato maggiore aveva autorizzato la resa e quindi le trattative per l’armistizio di Cassibile, in Sicilia, il 3 settembre 1943. Quel patto fu firmato in segreto e tale rimase per ben 5 giorni. Da parte italiana, facendo le veci di Badoglio, lo siglò il generale Giuseppe Castellano, da parte degli Alleati il generale Dwight Eisenhower, che 10 anni più tardi sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti.

Cosa successe dopo l’8 settembre

Dopo che la cessazione delle ostilità fu resa nota scoppiò il caos. I soldati italiani, che combattevano fianco a fianco dei nazisti si trovarono allo sbando. Come se non bastasse, la classe dirigente del nostro Paese abbandonò il popolo al suo destino. All’alba del 9 settembre il re, la regina, Badoglio e gli alti papaveri dello Stato fuggirono da Roma per rifugiarsi a Brindisi. L’esercito, che non aveva ricevuto ordini chiari, in molti casi si dissolse. La reazione dei tedeschi fu violenta. Poco dopo la proclamazione dell’armistizio i nazisti occuparono in tutti i centri nevralgici dell’Italia le stazioni, gli aeroporti e le caserme. I militari italiani che non si arresero furono uccisi o fatti prigionieri e deportati nei campi di concentramento.

Resistenza e Liberazione

Gli italiani, che per un momento credettero che la guerra fosse finita, dovettero prendere subito atto che le cose non stavano così. Di lì a poco, il 23 settembre, Mussolini proclamò la nascita della Repubblica Sociale Italiana (RSI), con sede a Salò sul Lago di Garda. I partigiani intensificarono le proprie azioni e nacque la Resistenza: già il 9 settembre cominciò la sua attività il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Lo Stato italiano di fatto non esisteva più: il Paese era spaccato in due e la divisione fra partigiani e fascisti attraversava, in molti casi, anche le famiglie, tra fratelli e tra genitori e figli. La guerra contro i nazifascisti durò fino alla Liberazione del 25 aprile 1945.

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Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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