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Israele, se Netanyahu e Hamas sono nemici e alleati

Gli opposti estremismi a Tel Aviv e a Gaza si tengono l'un l'altro. Vale oggi come trent'anni fa, quando sbocciarono gli Accordi di Oslo, presto sfioriti

Dove porterà la nuova guerra fra Israele e Hamas che infiamma il mondo? A Tel Aviv si è intensificato un dibattito pubblico portato avanti dall’ultracentenario quotidiano Haaretz, autorevole voce del mondo ebraico progressista, che sta rovesciando durissime critiche su Benjamin Netanyahu.

Il premier è nella bufera. Per buona parte dell’opinione pubblica è indirettamente corresponsabile del massacro – degno di un pogrom nazista – che i miliziani di Hamas hanno compiuto il 7 ottobre. Quando hanno sterminato, e in certi casi torturato, più di 1400 persone, oltre a sequestrarne più di 200 trasferendole nel labirinto di cunicoli sotto gli insediamenti palestinesi della Striscia di Gaza.

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Benjamin Netanyahu. Foto Ansa/Epa Heidi Levine

“Netanyahu mantiene Hamas al potere”

Nelle ore immediatamente successive all’assalto senza precedenti nella storia di Israele, Netanyahu non ha esitato a dire che il paese “è in guerra“. E a scatenare un’ondata di feroci bombardamenti che nelle prime due settimane ha provocato la morte di oltre 5mila persone e il ferimento di altre 15mila. Ma gli israeliani sopravvissuti al pogrom del 7 ottobre vogliono – politicamente parlando – la testa del primo ministro. Lo accusano di non aver predisposto adeguate difese nelle città e nei kibbutz presso il confine con Gaza e di aver sottovalutato Hamas, capace di sparare migliaia di razzi contro Israele. Ma anche di aver ‘campato’ politicamente su una retorica nazionalista che alla prova dei fatti ha fatto dello Stato una ‘tigre di carta’.

Il quotidiano Haaretz (così come alcuni diplomatici ed ex dirigenti dei servizi segreti) è andato oltre. Accusa Netanyahu di essere complice, e il miglior alleato, di Hamas. Sostiene che gli estremisti israeliani e quelli palestinesi si tengono insieme. Simul stabunt, simul cadent, si potrebbe dire.

La liberazione di un ostaggio di Hamas il 24 ottobre 2023. Rivolgendosi al suo carceriere la donna israeliana gli stringe la mano. “Shalom (pace, ndr.)” gli dice.

“Israele rischia la fine politica e morale” 

Secondo l’analista politica Ravit Hecht, i ministri del Likud, lo storico partito di destra che il premier guida, vogliono “servire la sua testa su un vassoio” ma non hanno il coraggio di dimettersi. “Per 14 anni la politica di Netanyahu – ha scritto il giornalista e analista di Haaretz, Adam Razè stata quella di mantenere Hamas al potere. Il pogrom del 7 ottobre 2023 aiuta il primo ministro israeliano a preservare il proprio Governo, e non è la prima volta che accade una cosa del genere“.

Eitay Mack, avvocato e attivista israeliano per i diritti umani, ha scritto qualcosa di ancora più duro, quasi apocalittico, sempre su Haaretz. “I massicci crimini contro l’umanità commessi da Israele nella Striscia di Gaza potrebbero non solo portare a un numero indicibile di vittime tra i palestinesi di Gaza” ha sostenuto. “Ma anche alla fine politica e morale dello stesso Israele“.

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Amos Oz (1939-2018). Foto Ansa/Epa Stephanie Pilick

La profezia di Amos Oz

Si assiste a qualcosa che appare un ripetersi ossessivo nella storia dell’infinito conflitto israelo-palestinese. Nel 1995, 28 anni fa, il celebre scrittore e saggista Amos Oz aveva scritto per il New York Times parole che sembrano attualissime. Erano passati quasi due anni da quello storico 13 settembre 1993, quando il premier laburista israeliano Ytzhak Rabin e il leader dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) Yasser Arafat si erano stretti la mano alla Casa Bianca, davanti all’allora presidente americano Bill Clinton per suggellare gli Accordi di Oslo.

Era cominciato un processo di pace, sotto l’egida della comunità internazionale, che sembrava aver fatto svoltare per sempre la storia del Medio Oriente. Ma non fu così. Ripresero gli attentati degli estremisti di Hamas contro Israele e il 4 novembre 1995 un estremista di destra israeliano, Yigal Amir, uccise il premier Rabin che pagò con la vita la sua politica di negoziati con i palestinesi.

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La celebre stretta di mano del 1993 fra Rabin e Arafat davanti al presidente Usa Clinton. Foto Twitter @omid9

Alcuni mesi prima, l’11 aprile, Amos Oz, fra i maggiori intellettuali israeliani di sempre, scrisse sul New York Times, in relazione agli Accordi di Oslo, parole che sembrano valere oggi per Benjamin Netanyahu: “Se non fosse per i crimini di Hamas, i falchi israeliani se la vedrebbero assai male, perché costretti ad accettare il processo di pace (…) La guerra tra Israele e Palestina si protrae ormai da settant’anni, ma davanti alla prima occasione di liberare entrambi i popoli da questa tragedia per mezzo di un compromesso, ecco che la paura interviene ad attanagliare gli uni e gli altri (...) Pertanto Hamas dev’essere considerato il più efficiente collaboratore dell’estrema destra israeliana“.

Uno degli obiettivi di Oslo 1993 – due popoli, due Stati – non è mai apparso così lontano come adesso. Nell’uno e nell’altro campo gli estremisti sembrano prevalere. Simul stabunt, simul cadent.

 

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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