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Fuga di massa dal Nagorno-Karabakh, gli armeni temono una pulizia etnica

Oltre 13mila persone hanno lasciato tutto per scappare verso l'Armenia dopo che l'Azerbaigian ha ripreso le ostilità contro la regione separatista

Una gravissima crisi umanitaria internazionale si sta verificando nella regione caucasica del Nagorno-Karabakh, formalmente all’interno dell’Azerbaigian, ma abitata perlopiù da armeni (120mila circa) e gestita da una amministrazione separatista. Un fiume di persone disperate sta cercando di sfuggire all’aggressività dell’esercito azero perché teme nuove operazioni di pulizia etnica.

In totale si calcolano almeno 13.350 armeni in fuga, ma il numero è provvisorio. Cittadini che a bordo di auto e veicoli o a piedi sono in marcia per allontanarsi dalle loro case. La scorsa settimana un’offensiva “antiterrorista” del governo di Baku, la capitale dell’Azerbaigian, ha fatto 200 morti in 24 ore. Sono rimasti uccisi anche 6 peacekeepers (osservatori) russi.

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Armeni in fuga dal Karabakh. Foto Ansa/Roman Ismayilov

Tensione fra Armenia e Azerbaigian

Il dato sui profughi armeni in fuga dal Nagorno-Karabakh è del Governo di Yerevan (la capitale dell’Armenia) che ha specificato come per 11mila persone siano “già pronti i dati di registrazione, mentre per 2.550 persone si devono ancora identificare i bisogni. Tutte le persone che non hanno un luogo di residenza in Armenia riceveranno dal Governo un alloggio adeguato“.

L’Azerbaigian sta da tempo compiendo ripetute aggressioni armate contro il Nagorno-Karabakh. Ci sono state negli ultimi trent’anni due guerre fra i militari di Baku e i separatisti armeni. Adesso sono nuovamente presi di mira obiettivi civili e ogni via d’accesso e di fuga. I residenti della regione, temendo una pulizia etnica, hanno da giorni cominciato a spostarsi in massa verso l’Armenia, gettando nel caos la già fragile viabilità della regione.

Nagorno, strage alla stazione di servizio

E mentre il Governo armeno fa la conta di chi arriva e si prepara l’accoglienza, le autorità separatiste del Nagorno-Karabakh fanno sapere che a seguito di un’esplosione in una stazione di servizio di carburante, la sera del 25 settembre, i soccorritori hanno rinvenuto 20 vittime. I feriti sono oltre 300, alcuni dei quali sono in gravissime condizioni.

Si tratta di profughi che stavano cercando di fare rifornimenti per scappare a bordo dei propri veicoli e trovare rifugio in Armenia. Lo scorso 21 settembre i separatisti del Nagorno-Karabakh avevano deciso di deporre le armi, come chiedeva l’Azerbaigian dopo aver effettuato sanguinosi bombardamenti. Le ostilità sono cessate ma la tregua è molto fragile e l’aggressione armata dell’esercito azero contro gli armeni non sembra finita davvero. Come documentano i cronisti armeni, nella capitale del Nagorno-Karabakh, Stepanakert, l’ospedale è al collasso. Manca tutto: medici, farmaci e forniture sanitarie a causa del blocco alle vie di comunicazione imposto dall’Azerbaigian.

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Forze di pace russe evacuano i civili del Nagorno-Karabakh. Foto Ansa/ministero Difesa Russia

Il ruolo di Russia, Turchia e America

Mosca fa sapere che le forze di pace russe in Nagorno-Karabakh stanno fornendo assistenza all’evacuazione dei profughi verso l’Armenia. I militari russi sono presenti nella regione con funzione internazionale di peacekeeping dal 2020. Tre anni fa un cessate il fuoco mediato proprio dalla Russia pose fine a una guerra di 6 settimane tra l’Azerbaigian e le forze separatiste armene. Ma quello del Nagorno-Karabakh è un conflitto che si trascina fin dai giorni convulsi del dissolvimento dell’Unione Sovietica, oltre trent’anni fa.

Questa regione del Caucaso, a maggioranza armena, s ritrovò all’interno dei confini dell’Azerbaigian. Non mancano influenze e condizionamenti delle potenze regionali. Se l’Armenia sostiene i separatisti, la Turchia – per motivi etnici, storici e religiosi – appoggia l’Azerbaigian. Mosca si è riservata da tempo il ruolo di intermediaria, screditata tuttavia dagli eventi bellici degli ultimi giorni che hanno visto le forze di interposizione russe restare totalmente immobili. Gli Stati Uniti, a cui l’Armenia si è rivolta, hanno inviato un team di rappresentanti diplomatici. Alcuni analisti sottolineano la sincronia fra l’arrivo della missione americana e l’esplosione nel deposito di carburanti: un messaggio in codice, è l’ipotesi, da parte di chi non gradisce l’intrusione di Washington.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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