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Terremoto politico in Argentina: il ‘Trump di Buenos Aires’ si avvicina alla presidenza

Clamoroso risultato delle primarie in vista delle presidenziali del 22 ottobre. I consensi per Javier Milei superano nettamente quelli dei suoi concorrenti

In Argentina si sono svolte in un solo giorno contemporaneamente, all’interno di ciascun partito, le primarie per le elezioni presidenziali del prossimo 22 ottobre. Domenica 13 agosto, in quello che è una sorta di maxi sondaggio, una ‘prova generale’ ha prevalso contro tutte le aspettative della vigilia il candidato dell’ultradestra, Javier Milei. 

Si tratta, secondo gli osservatori, di una clamorosa vittoria di un outsider. Milei, 52 anni, è il candidato ultra-liberista della coalizione La libertà avanza (Lla). Gli argentini che si sono recati al voto nelle primarie lo hanno premiato ampiamente. Milei ha ottenuto il 30% delle preferenze, e ora affronterà da favorito la corsa per la presidenza della Repubblica il 22 ottobre.

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Javier Milei. Foto Ansa/Epa Gala Abramovich

Argentina, bocciato il Governo

Naturalmente non è detto che vinca ma certo parte con un imponente vantaggio, almeno in termini di impatto piscologico-emotivo sugli elettori dell’Argentina. Con oltre il 92% dei seggi scrutinati alle primarie, l’attuale ministro dell’Economia, Sergio Massa, candidato della coalizione di governo Unione per la patria (Upp), e l’ex ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich, candidata della coalizione di Centrodestra all’opposizione, Juntos por el Cambio (JxC), restano molto indietro. Saranno loro, comunque, gli altri due principali contendenti: rispettivamente con il 21% e il 16,7% dei voti ottenuti a queste primarie.

A uscire con le ossa rotte dal sorprendente risultato delle primarie è soprattutto il peronismo al governo dell’Argentina. La coalizione La libertà avanza di Milei risulta la prima forza politica dell’Argentina con il 30% dei voti, come detto. Il Centrodestra è al 28,25% ma i peronisti di Upp si piazzano solo terzi con il 27,07%. In ogni caso meno di tre punti di differenza separano le tre forze più votate, e dunque i giochi non sono chiusi.

Il tramonto dell’era Kirchner

Si tratta di un vero e proprio terremoto politico per la nazione sudamericana: nell’anno che segna 4 decenni dalla ripresa democratica – il 1983, dopo la fine della dittatura militare – l’egemonia della dinastia Kirchner rischia di non vedere rinnovato il suo mandato alla guida del paese. Qualcosa che potrebbe avere serie ripercussioni sulla stabilizzazione definitiva dell’economia dell’Argentina che finora ha subìto il condizionamento del debito multimilionario contratto con il Fondo monetario internazionale. L’attuale vicepresidente, Cristina Kirchner, è già stata capo di Stato dal 2007 al 2015, dopo che dal 2003 al 2007 era stato presidente il marito, Nestor Kirchner.

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Il presidente argentino Alberto Fernandez, peronista. Foto Ansa/Epa Juan Ignacio Roncoroni

Chi è Javier Milei

Adesso invece Javier Milei promette la “fine della casta parassitaria, ladra e inutile di questo paese“. Il ‘Jair Bolsonaro‘ o il ‘Donald Trump‘ dell’Argentina, come viene chiamato, è noto per i suoi eccessi verbali e le idee estreme. Vuole abolire la banca centrale, è contro l’aborto, è a favore del libero uso delle armi e sostiene che vendere organi non è in fondo che “un mercato in più“.

Grazie a tutti coloro che dal 2021 scommettono sulla creazione di un progetto liberale con proiezione nazionale e che diventi un Governo” ha detto dopo le primarie. “Siamo in grado di battere la casta al primo turno!” ha gridato davanti ai suoi sostenitori in visibilio. Enfatico anche l’ex presidente conservatore, Mauricio Macri. “L’Argentina sta entrando in un cambio epocale” ha detto. Una rivoluzione “che lascia definitivamente alle spalle idee molto dannose che hanno solo generato povertà, problemi e disunione tra gli argentini“. Le primarie presidenziali si sono tuttavia caratterizzate anche per un’affluenza ai minimi storici. Solo il 69% dei 35 milioni di aventi diritto ha espresso il suo voto. Si tratta della percentuale più bassa registrata in elezioni primarie e, in termini nominali, di 1,4 milioni di elettori in meno rispetto alle precedenti primarie del 2019.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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