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Malgrado la lezione del Covid, l’Italia non difende il Servizio Sanitario Nazionale

Al pari di Grecia e Romania siamo fra i paesi europei che investono meno nella sanità pubblica

Nel corso della pandemia di Covid si è parlato a lungo della necessità di difendere e ampliare il Servizio Sanitario Nazionale, determinante nella cura delle infezioni da Sars-CoV-2. Eppure la quota del bilancio statale dedicata alla sanità è in Italia sempre più bassa. Ma quanto costerebbe agli italiani curare i problemi di salute se il Servizio sanitario nazionale non ci fosse?

Se un paziente dovesse pagare di tasca propria e interamente ricoveri e terapie? A fare questo bilancio è l’Anaao Assomed, il sindacato dei medici ospedalieri. “Se non esistesse il Servizio Sanitario Nazionale – sottolinea l’Anaao – che oggi grava sui cittadini solo per la fiscalità generale, il conto delle cure sarebbe assai salato“.

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I costi del Servizio Sanitario Nazionale sono in crescita. Foto Ansa/Epa

Un servizio indispensabile

Qualche esempio, come riporta Agi: se la sanità fosse privatizzata si andrebbe a spendere da 422 a 1.278 euro al giorno  per un ricovero. Oltre a ciò un paziente ricoverato dovrebbe spendere 1.200 euro l’ora per la sala operatoria, 600 euro al giorno per la degenza in un reparto chirurgico, 400 euro al giorno per la degenza in un reparto di medicina. E 165 euro al giorno per ricovero ordinario post acuzie. Se si avesse bisogno di un banale intervento di colecistectomia (la rimozione della cistifellea), si dovrebbero pagare dai 3.300 ai 4.000 euro. A questo si dovrebbe aggiungere la parcella del chirurgo: da 3mila a 10mila euro. E ancora: per un check up cardiologico si spenderebbero 775 euro (con mammografia) per una donna sotto i 40 anni.

La situazione è al limite, denuncia l’Anaao, La sanità pubblica è in forte crisi e le cause sono profonde. “Il cronico insufficiente finanziamento pubblico del Servizio Sanitario Nazionale ci qualifica come il primo dei paesi poveri paragonabile a Grecia e Romania.” Ma ci sono poi altre ragioni alla base della precarietà del Servizio Sanitario Nazionale. Come “l’autonomia differenziata, l’eccessiva frammentazione regionale e territoriale che subordina il diritto alla salute alla residenza, causando drammatiche differenze di aspettativa di vita e degradanti viaggi della speranza. La mancanza di riforme organiche nazionali che innovando e aggiornando tengano il passo con le straordinarie novità scientifiche e tecnologiche di cui disponiamo, affrontando i cambiamenti demografici e sociali in cui siamo immersi.”

Dopo il Covid non è cambiato nulla

Per non parlare di Covid e post Covidcon tutte le conseguenze sanitarie, sociali economiche. A questo si aggiungono la carenza di personale e l’incremento vertiginoso dei costi di tutte le attività sanitarie“. In tema di Covid e di cosa occorra fare per trasformare profondamente il Servizio Sanitario Nazionale e potenzialo al massimo il celebre farmacologo Silvio Garattini ha spiegato le sue idee a VelvetMag, in occasione della pubblicazione del suo libro Il futuro della nostra salute – il Servizio Sanitario Nazionale che dobbiamo sognare.

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Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto Farmacologico Mario Negri di Milano. Foto Ansa/Alessandro Lettieri

Ecco allora le domande che l’Anaao Assomed rimanda al Governo, alle Regioni e alle Istituzioni: “Vogliamo ancora un sistema sanitario pubblico e universalistico finanziato dalla fiscalità generale? Che ruolo deve avere la sanità pubblica nella scala di priorità delle politiche nazionali? Riteniamo che il Servizio Sanitario nazionale sia un bene comune da difendere? O vogliamo optare per un sistema universalistico selettivo? Quanta parte della ricchezza nazionale prodotta ogni anno (Pil) siamo disposti a destinare alla salute delle persone? Il confronto con l’Europa è desolante“. Per l’Anaao Assomed “è solo una questione di scelte. E i cittadini devono sapere che le decisioni in tema di sanità di chi ci governa avrà inevitabili e pesanti ripercussioni sulle loro tasche“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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