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Birmania, graziata la leader democratica Aung San Suu Kyi

Non è chiaro se sarà liberata dai militari golpisti. Premio Nobel per la Pace 1991, in Occidente è accusata di complicità nella persecuzione dei Rohingya

Il capo carismatico dell’opposizione in Birmania, la signora Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991, ha ricevuto una grazia, sia pure parziale, dalla giunta del regime militare che governa il paese.

In realtà sono cadute soltanto 5 condanne su 19 per Suu Kyi, in stato di arresto da quando un golpe del febbraio 2021 l’ha espulsa dal Governo della Birmania, e non è chiaro, al momento, se le autorità la metteranno in libertà. Aung San Suu Kyi è stata graziata nell’ambito di un’amnistia di cui beneficeranno oltre 7mila prigionieri. Un’amnistia in occasione della Quaresima buddista.

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Manifestazione a sostegno di Aung San Suu Kyi a Bangkok, in Thailandia. Foto Ansa/Epa Diego Azzurro

Aung San Suu Kyi sparita da due anni

La leader birmana, 78 anni, aveva ricevuto una condanna a 33 anni di carcere per una serie di accuse tra cui corruzione, possesso di walkie-talkie illegali e mancato rispetto delle restrizioni anti Covid. Accuse che molti in Occidente considerano fasulle: un alibi per i militari al fine di espellere Suu Kyi dal potere e instaurare in Birmania un regime dittatoriale. Da quando Aung San Suu Kyi è stata arrestata, dopo il colpo di Stato dell’1 febbraio 2021, nessun l’ha più visto in pubblico.

È apparsa solo in alcune foto di bassa qualità scattate dai media statali in un’aula di tribunale a Naypyidaw, la capitale costruita nella giungla dall’esercito. Il colpo di Stato ha fatto sprofondare il paese del Sud-Est asiatico in un conflitto che, secondo le Nazioni Unite, ha causato più di un milione di sfollati. La scorsa settimana la Premio Nobel è passata dalla sua cella in un edificio governativo, secondo quanto dichiarato da un rappresentante del suo partito.

Suu Kyi, una leader controversa

Tuttavia l’immagine di Aung San Suu Kyi in Occidente si è da tempo offuscata. Da paladina dei diritti umani, simbolo della resistenza pacifica all’oppressore, e volto della democrazia nell’ex Birmania divenuta Myanmar, la Premio Nobel è apparsa complice e negazionista delle violenze e degli abusi che i militari hanno commesso sulla minoranza musulmana dei Rohingya.

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Manifestanti nelle Filippine denunciano nel 2022 l’esecuzione dei leader pro-democrazia in Birmania. Foto Ansa/Epa Rolex Dela Pena

Nel 2022 il Parlamento europeo ha ritirato il Premio Sakharov per la libertà di pensiero che gli aveva assegnato nel 1990. In Birmania è in parte scemato l’entusiasmo diffuso che Suu Kyi suscitava negli scorsi anni. Sebbene molti cittadini nella maggioranza Bamar la venerino ancora come madre della nazione.

Le minoranze sono il 30% della popolazione

La sua popolarità è ulteriormente balzata in alto quando nel dicembre 2019 si è recata alla Corte penale internazionale dell’Aia per difendere la Birmania dalle accuse di genocidio ai danni dei Rohingya. In un’altra parte della popolazione, ricorda Veronique Viriglio su Agi, sono invece cresciute delusione e apatia per la mancata adozione di riforme democratiche e per la crisi economica. Ma anche e soprattutto per l’esclusione sociale e la violazione dei diritti delle minoranze, che rappresentano circa il 30% della popolazione.

Alle prime elezioni riconosciute come libere dal colpo di Stato del 1962,quelle dell’11 novembre 2015, la Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi aveva ottenuto 291 seggi. Dal 30 marzo 2016, con l’insediamento del Governo di Htin Kyaw, Suu Kyi era diventata ministro degli Esteri, della Pubblica Istruzione, dell’Energia e Ministro dell’Ufficio del Presidente. Dal 6 aprile dello stesso anno aveva lasciato i dicasteri della Pubblica Istruzione, dell’Energia elettrica e dell’Energia, per diventare Consigliere di Stato. Una sorta di Primo Ministro o meglio di presidente de facto del pese. Poi il golpe del 2021 e adesso una parziale retromarcia della giunta militare.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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