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Gardini il Migliore, l’imprenditore che si bruciò al Sole come Icaro

Trent'anni fa la morte di un uomo geniale e molto controverso, che scalò il successo fino a pagare il prezzo più alto

Certamente non si addice alla figura di Raul Gardini il detto secondo cui è meglio crescere nell’ombra che bruciarsi al Sole come Icaro. E a trent’anni dalla sua morte violenta, l’imprenditore di Ravenna che negli Anni Ottanta stava diventando il re della chimica mondiale, torna più che mai a impersonare un mito a cui alcuni vorrebbero che gli italiani guardassero con nostalgia. 

Lo testimonia il fatto che Gardini è finito immortalato in docufilm in onda su Rai Uno in prima serata domenica 23 luglio, il giorno esatto del 1993 in cui si tolse la vita, secondo la versione ufficiale dei fatti. Fabrizio Bentivoglio impersona Gardini nella coproduzione di Rai Fiction e Aurora tv, con regia di Francesco Micciché e, intervistato dal Corriere della Sera il 20 luglio ha dichiarato la sua ammirazione per l’imprenditore romagnolo. “In un Paese dove la meritocrazia non è all’ordine del giorno e i migliori vengono ostacolati, Raul Gardini era un migliore” ha detto l’attore.

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Raul Gardini sul Moro di Venezia nel 1992. Foto Ansa

Visionario e Giano bifronte

Ad avviso di chi scrive Gardini non era “un migliore.” Era un imprenditore geniale, visionario, con un’ambizione smisurata che dalla gestione del Gruppo Ferruzzi si fece finanziere d’assalto e volle realizzare un sogno che lo avrebbe consacrato nell’Olimpo. Quello di unire la chimica italiana di Montedison ed Eni, per dare vita a Enimont: un colosso senza pari.

Gardini e i politici

Gardini parlava di plastica da riciclare ed economia green con 40 anni di anticipo e, un po’ come Enrico Mattei, non tollerava i politici, né i salotti ovattati di Mediobanca. L’imprenditore di Ravenna, vincitore della Louis Vuitton Cup di vela col famigerato Moro di Venezia, era Icaro. E rompeva tutti gli schemi. In primo luogo quello per cui, nella prima Repubblica, i partiti politici di Governo – DC e socialisti su tutti – non ammettevano in alcun modo che gli imprenditori cercassero di scavalcarli.

Si alleò o no con la mafia?

Gardini non aveva timori reverenziali, credeva in se stesso perché era sempre stato un vincente e voleva vincere a tutti i costi. Anche alleandosi con la mafia. Il giornalista Gianni Barbacetto riporta sul Fatto Quotidiano del 21 luglio stralci di sentenze della magistratura palermitana secondo cui “Raul Gardini e Lorenzo Panzavolta ben sapevano di legare le loro sorti a quelle di soggetti di cui conoscevano l’influenza e il carisma nel contesto mafioso palermitano. E anzi ritenendo proprio per questo di potere più facilmente introdursi nel difficile mercato siciliano.” Secondo il boss Giovanni Brusca: “La quota dei grandi appalti spettante a Cosa nostra ci venne attribuita (negli Anni Ottanta, ndr.) per il tramite delle società facenti parte del gruppo Ferruzzi.

È per questo che desta qualche perplessità l’affermazione laudatoria di un grande attore come Bentivoglio su Gardini. Affermazione che sembra riflettere ciò che sta accadendo in Italia in questi anni. E in particolar modo in questi mesi che coincidono con il primo anno del Governo più a destra che la Repubblica abbia mai avuto dopo il Governo Tambroni del 1960 (Dc con appoggio esterno Msi). Ovvero il riaffacciarsi con sguardo conciliatore, nel migliore dei casi, revisionista e nostalgico, nel peggiore, alla storia recente del nostro Paese.

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Raul Gardini era nato a Ravenna il 7 giugno 1933. Foto Ansa

Forlani e Gardini

Appena lo scorso 6 luglio, ad esempio, è morto all’età di 97 anni, l’ex presidente del Consiglio democristiano, Arnaldo Forlani. Il Governo ha proclamato il lutto nazionale come per uno statista e Forlani è stato paragonato addirittura a Socrate. Costretto a bere la cicuta della condanna per finanziamento illecito dei partiti ricevuta in piena Tangentopoli, di cui l’ex premier divenne simbolo negativo.

Nelle ore in cui assistiamo alla beatificazione mediatica di Raul Gardini, si può serenamente affermare che Arnaldo Forlani non era uomo politico personalmente corrotto. Così come non era paragonabile a un sapiente dell’antichità, per dirlo oggi padre nobile di non si sa bene cosa. Forlani è stato un uomo di potere per alcuni decenni che nell’interesse dell’Italia e del suo partito, oltreché dei suoi ideali, ha elaborato e gestito politiche.

La maxi tangente Enimont

Ma ha anche supervisionato affari molto sporchi che alimentavano i fondi neri della DC e che portavano alcuni settori del partito-Stato a contiguità con mafia, camorra e ‘ndrangheta, poteri occulti come Gladio e logge massoniche deviate. Forlani è stato fra gli architetti del CAF – il patto politico e spartitorio fra Craxi, Andreotti e appunto Forlani che ha retto le sorti dell’Italia di fine Anni Ottanta.

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Arnaldo Forlani. Foto Ansa/Angelo Carconi

Quelli in cui la prima Repubblica ha vissuto la sua fase più decadente fino a crollare perché aveva abbandonato le sue radici. Un’involuzione cominciata quanto meno col sequestro e l’omicidio di Aldo Moro nel 1978, all’alba dell’ascesa al potere imprenditoriale di Raul Gardini. La famigerata maxi tangente Enimont da 150 miliardi di lire – 77 milioni di euro – Gardini la pagò al sistema partitico che non voleva perdere il controllo sulle grandi aziende di Stato. E la Democrazia Cristiana che per segretario aveva Arnaldo Forlani, ne incassò una parte cospicua.

La morte di Gardini

Era questa l’Italia in cui operava Gardini. Il paese della doppia morale e delle mezze verità, dove chi rompeva gli schemi, non rispettava le gerarchie e sparigliava le carte – in politica come nel mondo degli affari – rischiava di pagare a caro prezzo le sue ambizioni. Ecco perché è lecito, e non è irrispettoso verso la memoria di Raul Gardini, continuare a nutrire dubbi sulla versione ufficiale della sua morte per suicidio.

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Gardini con, dietro di lui a destra, la sua guardia del corpo Leo Porcari. Foto RavennaeDintorni.it

Nel 2018 al sito RavennaeDintorni.it l’ex carabiniere Leo Porcari che per 5 anni è stato l’uomo ombra di Gardini, responsabile della sua sicurezza personale, ha dichiarato di non nutrire dubbi su cosa accadde il 23 luglio 1993 a Milano, a Palazzo Belgioioso. Gardini sarebbe stato ucciso affinché non parlasse. “Quel giorno – ha dichiarato Porcari – era noto che sarebbe stato arrestato dalla procura di Milano nell’indagine Mani Pulite e sarebbe stato interrogato dai pm. Il suo avvocato aveva già concordato che poi sarebbe andato ai domiciliari. Erano in tanti che avevano paura di cosa sarebbe andato a raccontare.” “Raul non era massone, non faceva parte di Gladio e non sarebbe mai entrato in politica” ha detto ancora Porcari. Anzi, “la massoneria avrebbe voluto coinvolgerlo ma lui non aderì.” Quei poteri, mafia compresa, però Gardini li conosceva e li aveva lambiti. E in Italia chi tocca certi ‘santuari’, o addirittura vi si lega con dei patti di potere, può arrivare a morirne.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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