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Draghi e Zuppi, due italiani con prospettive diverse sulla guerra in Ucraina

L'ex premier e il cardinale inviato del Papa propongono visioni per certi aspetti antitetiche al raggiungimento di una "pace giusta e duratura"

L’ex premier italiano ed ex governatore della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, torna a far sentire la sua voce, più rispettata all’estero che in patria. E nel corso di un incontro al Massachusetts Institute of Technology (MIT) parla della guerra in Ucraina. Chiama alla vittoria contro la Russia ma di fatto ammette che si tratta di una prospettiva difficile e, per contrasto, fa risaltare l’importanza della missione di pace del Vaticano. 

La brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia non è un atto di follia imprevedibile, ma è il passo successivo e premeditato dell’agenda del presidente Putin e un colpo deciso all’Unione europea” afferma Draghi. I valori esistenziali dell’Unione Europea, così li definisce l’ex premier, “sono la pace, la libertà e il rispetto della sovranità democratica. Valori che sono emersi dopo il bagno di sangue della Seconda Guerra Mondiale, ed è per questo che per gli Stati Uniti e i loro alleati non c’è alternativa a garantire che l’Ucraina vinca la guerra.

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Da sin., il cardinale Matteo Zuppi e l’ex premier Mario Draghi. Foto Ansa/Epa

Draghi e Zuppi: punti di vista diversi

Accettare una vittoria russa o un sostanziale pareggio indebolirebbe fatalmente gli Stati confinanti” secondo Mario Draghi. Il suo discorso è tutto improntato alla necessità di contrastare in ogni modo gli invasori russi dell’Ucraina fino a sconfiggerli in maniera netta e irreversibile. Forse per una coincidenza, le tesi che Draghi espone al MIT si manifestano a poche ore dalla missione di pace a Kiev – con la speranza di compierla anche a Mosca – di un altro italiano importante: l’inviato del Papa, cardinale Matteo Zuppi.

Tesi, quelle di Zuppi, che vanno in un’altra direzione. La Santa Sede non mette certo sullo stesso piano aggressore e aggredito ma non contempla il fragore delle armi quale miglior mezzo per porre fine al conflitto ed evitare gravi conseguenze al futuro del mondo. Anzi, indica nel cessate il fuoco e in un tentativo di riavvicinamento di Russia e Ucraina a un tavolo negoziale la possibilità di risparmiare nuove atroci sofferenze alla popolazione. La sera del 6 giugno, in un comunicato al termine della visita dell’inviato di papa Francesco, il Vaticano afferma che tutto sarà portato “all’attenzione del Santo Padre” e si valuteranno “i passi da continuare a compiere sia a livello umanitario che nella ricerca di percorsi per una pace giusta e duratura.

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Mario Draghi con il suo ex ministro dell’Economia, Daniele Franco, possibile nuovo governatore della Banca d’Italia. Foto Ansa/Ettore Ferrari

La pace viene dalla vittoria in guerra?

Di parere ben diverso è Mario Draghi. Nel suo discorso al MIT l’ex premier sostiene che “Accettare una vittoria russa o un sostanziale pareggio invierebbe agli autocrati il messaggio che l’Unione Europea è pronta a scendere a compromessi su ciò che rappresenta e segnalerebbe ai nostri partner dell’Est che il nostro impegno per la loro libertà e indipendenza, un pilastro della nostra politica estera, non è così saldo. In breve, infliggerebbe un colpo mortale all’Unione Europea e certamente minerebbe tutta l’Alleanza Occidentale.

Ecco perché, afferma ancora Draghi, “vincere questa guerra per l’Europa e per il mondo significherebbe avere una pace stabile.” Ma oggi questa prospettiva “sembra difficile.” L’invasione della Russia è parte di un progetto a lungo termine “ma penso che sia una strategia delirante del presidente Putin per recuperare l’influenza passata dell’Unione Sovietica e l’esistenza del suo Governo è ormai intimamente legata al suo successo. Ci vorrebbe un cambiamento politico interno a Mosca perché la Russia abbandoni i suoi obiettivi ma non c’è alcun segno che un tale cambiamento si verificherà presto.” Occorre dunque continuare a sostenere militarmente l’Ucraina finché non scaccerà tutti gli occupanti russi dal suo territorio? Sembra questa la prospettiva bellicista di Draghi, oggettivamente poco conciliabile con quella di papa Francesco e del suo inviato.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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