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Moby Prince, 30 anni dopo 140 vittime senza giustizia. I familiari: “Nuova commissione d’inchiesta”

Né verità né alcun responsabile per il più grande disastro della marineria italiana

AGGIORNAMENTO 10 APRILE – “Sulle responsabilità dell’incidente e sulle circostanze che l’hanno determinato è inderogabile ogni impegno diretto a far intera luce. L’impegno che negli anni ha distinto le associazioni dei familiari rappresenta un valore civico e concorre a perseguire un bene comune”. Lo dichiara il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha ricordato il 30º anniversario del disastro del Moby Prince.

 

Qualcuno l’ha definita la “Ustica del mare”. Di sicuro è la peggiore tragedia della marineria italiana di sempre. Uno, se non il maggiore, dei grandi misteri d’Italia rimasti senza giustizia né verità.

L’impatto con la petroliera

Quella notte, il 10 aprile 1991, nella rada del porto di Livorno, il traghetto Moby Prince appena salpato alla volta della Sardegna alle 22:25, speronò la petroliera Agip Abruzzo ferma all’ancora. Il greggio si riversò sulla nave passeggeri incendiandola come un’immensa torcia. Persero la vita 140 persone: i passeggeri e l’equipaggio. Sopravvisse soltanto il mozzo Alessio Bertrand. I soccorsi arrivarono in ritardo di oltre un’ora.

Molti punti oscuri

Com’è possibile che il traghetto sia finito contro la petroliera? Perché l’Agip Abruzzo era ancorata in una zona vietata? Quante e quali imbarcazioni c’erano davvero in quel momento in rada, e cosa stavano facendo al riparo da occhi indiscreti? Perché i soccorsi arrivarono così in ritardo? Sono soltanto alcune delle domande che ancora, dopo 30 anni, aspettano una risposta chiara e definitiva.

Le richieste dei familiari

Decenni di indagini, inchieste giornalistiche, libri, oltre naturalmente a quelle della magistratura – due: nel 1991 e nel 2006 -, non hanno accertato cosa accadde. Quelle 140 persone che hanno perso la vita, a cominciare dal comandante Ugo Chessa, non hanno giustizia. E adesso, dopo le conclusioni di una prima commissione d’inchiesta parlamentare nel 2018 – che hanno fatto riaprire le indagini da parte della procura di Livorno -, i familiari delle vittime ne chiedono un’altra. “Affinché si ribalti completamente la verità processuale” ha dichiarato al Tg1 Angelo Chessa, figlio del comandante. In sostanza: in modo tale da portare a compimento il lavoro già svolto e che ha già ribaltato la verità processuale.

La ipotesi iniziali

Sì, perché la magistratura non è riuscita a stabilire cosa sia accaduto. Varie le ipotesi nel corso del tempo. Nebbia, eccesso di velocità, un’esplosione, un guasto alle apparecchiature di bordo. Inizialmente si pensò addirittura – un’accusa ignobile e vergognosa nei confronti del comandante – che coloro che avrebbero dovuto vigilare fossero “distratti” perché impegnati a guardare Juventus-Barcellona in tv, semifinale di Coppa Uefa.

La nuova verità

La commissione parlamentare d’inchiesta (2015-2018) ha invece escluso la nebbia come causa anche solo marginale del disastro. Ha evidenziato gli errori dei magistrati e l’incapacità della Capitaneria di porto. E soprattutto, per la prima volta, riconosce le opacità degli armatori, sia per quanto riguarda l’Agip Abruzzo che il Moby, a causa di accordi e polizze assicurative che generano più di un dubbio. Appare ormai sufficientemente chiaro che, se i soccorsi fossero stati tempestivi e coordinati a dovere, qualcuno si sarebbe potuto salvare. Ma “la Capitaneria di porto apparve del tutto incapace di coordinare un’azione di soccorso”.

Le associazioni dei familiari delle vittime

Oggi lottano ancora per ottenere verità e giustizia Luchino e Angelo Chessa, figli di Ugo, il comandante del Moby Prince morto in plancia, che guidano l’associazione 10 Aprile-Familiari vittime Moby Prince Onlus. Così come Nicola Rosetti, vicepresidente dell’associazione dei 140 familiari vittime Moby Prince, assieme al presidente Loris Rispoli, colpito di recente da un grave attacco cardiaco. D’accordo con la loro richiesta di una nuova commissione è Silvio Lai, che da senatore ha presieduto la prima commissione.

“La rotta del Moby fu alterata”

Nella relazione conclusiva di quest’ultima si precisa che l’inchiesta giudiziaria fu “carente e condizionata da diversi fattori esterni”. Che la petroliera si trovava “in zona di divieto di ancoraggio” e che il Moby ebbe un’alterazione nella rotta di navigazione. Secondo alcune inchieste giornalistiche il Moby fu vittima di una situazione oscura di scambi illegali fra imbarcazioni non identificate in rada, e forse la stessa petroliera, a causa della quale perse il controllo della rotta finendo addosso all’Agip Abruzzo.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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