Una recente indagine ha portato a una scoperta che potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui percepiamo il consumo di carne.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica mBio, rivela che quasi il 20% delle infezioni urinarie è riconducibile a ceppi di Escherichia coli presenti nella carne contaminata venduta nei supermercati. Un dato che pone l’accento non solo su un problema sanitario, ma anche su una questione sociale legata alle disuguaglianze economiche.
Lo studio ha analizzato oltre 5.700 campioni di E. coli, isolati sia da pazienti affetti da infezioni del tratto urinario che da carne acquistata negli stessi quartieri della California meridionale. Attraverso un avanzato modello genomico, i ricercatori sono riusciti a tracciare l’origine dei batteri, evidenziando che il 18% delle infezioni urinarie è attribuibile a ceppi provenienti da animali, in particolare da carne di pollame.
«La carne contaminata che maneggiamo e consumiamo è una fonte diretta di infezioni urinarie», afferma Lance B. Price, professore della George Washington University e autore senior dello studio. Questa scoperta rappresenta un cambiamento di paradigma, poiché fino a oggi la cistite era considerata un problema legato principalmente a fattori personali come stress o freddo.
Il ruolo critico di pollo e tacchino nella diffusione dell’infezione
Non tutta la carne presenta lo stesso livello di rischio. La ricerca sottolinea come il pollame, in particolare pollo e tacchino, sia il vettore principale dei ceppi batterici più pericolosi. Questi alimenti, spesso percepiti come opzioni leggere e salutari, si rivelano così potenziali veicoli di infezioni dolorose e debilitanti, che colpiscono soprattutto donne e anziani. Le infezioni urinarie causate da questi batteri non sono solo una questione individuale, ma rappresentano un costo enorme per i sistemi sanitari a livello globale.
La contaminazione può avvenire durante le fasi di allevamento, macellazione e confezionamento, ma anche in casa, tramite contaminazione incrociata o cottura insufficiente. Per questo motivo, l’attenzione alla sicurezza alimentare domestica è fondamentale per ridurre il rischio di infezioni.

Disparità sociali: un rischio più alto nelle comunità meno abbienti (www.velvetmag.it)
Uno dei risultati più allarmanti dello studio riguarda le differenze socioeconomiche nell’incidenza delle infezioni. Le persone residenti in quartieri a basso reddito hanno una probabilità superiore del 60% di contrarre infezioni urinarie di origine alimentare rispetto a quelle che vivono in zone più benestanti.
Questo dato evidenzia una vera e propria ingiustizia sanitaria: «Il rischio di infezione non dovrebbe mai dipendere dal codice postale», sottolinea Price. La ricerca dimostra che le infezioni urinarie non sono solo un problema medico individuale, ma una questione di sicurezza alimentare e di equità sociale. Le comunità vulnerabili sono spesso esposte a condizioni igieniche meno rigorose, a una qualità inferiore degli alimenti disponibili e a minori risorse per la prevenzione.
Come proteggersi: le buone pratiche per evitare la contaminazione
In attesa che interventi politici e regolamentazioni industriali affrontino queste disparità, la responsabilità ricade sul consumatore. Gli esperti raccomandano una serie di accorgimenti fondamentali per prevenire le infezioni:
- Cuocere sempre accuratamente la carne e il pollame per eliminare eventuali batteri patogeni.
- Evitare la contaminazione incrociata utilizzando taglieri e coltelli separati per carne cruda e altri alimenti, come verdure e frutta.
- Lavare meticolosamente mani e superfici dopo aver manipolato carne cruda.
- Controllare che le confezioni acquistate al supermercato siano integre e ben sigillate per evitare perdite di liquidi contaminati su altri prodotti.
Questi semplici ma efficaci passaggi domestici rappresentano al momento la prima linea di difesa contro le infezioni da E. coli provenienti dal pollame.

un nemico nascosto nel frigorifero (www.velvetmag.it) 











