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Telegram nella bufera, ha fornito dati falsi alla Ue?

Mentre Durov è stato arrestato e rilasciato in Francia, scatta un'inchiesta della Commissione su violazioni del Digital Services Act

La Commissione europea ha aperto un’indagine su Telegram per possibili violazioni del Digital Services Act (DSA). Il sistema di messaggistica criptata non avrebbe rispettato le normative sulla trasparenza, gestendo scorrettamente l’enorme mole di dati riservati accumulati.

L’indagine è cominciata a seguito di preoccupazioni che l’app di messaggistica possa aver comunicato dati ufficiali sul numero di utenti attivi molto più bassi di quelli reali. Allo scopo di evitare più severe regole di trasparenza del Digital Services Act (DSA). Questo sospetto ha attirato l’attenzione delle autorità europee, che ora stanno esaminando da vicino il comportamento dell’azienda di Pavel Durov. Il Digital Services Act, infatti, impone obblighi significativi alle grandi piattaforme digitali, specialmente per quanto riguarda la moderazione dei contenuti e la protezione dei dati personali.

Telegram inchiesta Commissione Ue
Foto X @ParisMatch

Perché Telegram è così importante

Telegram, fondata in Russia ma con sede operativa a Dubai, non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito all’indagine. Si preferisce mantenere un basso profilo. Pavel Durov, 39 anni, è finito in manette nei giorni scorsi in Francia, salvo poi tornare in libertà dietro cauzione ma col divieto di lasciare il Paese.

Da parte sua il Cremlino, che ha un conto aperto con Telegram e col suo fondatore, ha già espresso preoccupazioni strumentalizzando la vicenda. E ha avvertito che l’indagine europea potrebbe trasformarsi in una “persecuzione politica” contro Durov e la sua azienda. Telegram è divenuta un’app in grado di schermare al massimo comunicazioni segrete di eserciti in guerra, intelligence, bande di criminali, trafficanti e pedofili. Al tempo stesso è uno strumento che, proprio perché garantisce segretezza e assenza di moderazioni aziendali, consente comunicazoni libere in regimi autocratici, così come nelle democrazie.

Implicazioni per il futuro

Se le accuse dovessero risultare confermate, Telegram potrebbe trovarsi a dover affrontare pesanti sanzioni da parte delle autorità europee. Questo potrebbe includere multe significative, obblighi di conformità più stringenti e, nel peggiore dei casi, restrizioni sull’operatività della piattaforma all’interno dell’Unione Europea. Le conseguenze di questa indagine potrebbero andare ben oltre le questioni legali. Un’eventuale condanna metterebbe a rischio la reputazione di Telegram, minacciando la fiducia degli utenti nella piattaforma, e potrebbe innescare una serie di controlli più rigidi anche in altre giurisdizioni.

Durov Telegram inchiesta Commissione Ue
Pavel Durov, fondatore di Telegram. Foto X @REVMAXXING

Il DSA dell’Unione europea

Il Digital Services Act rappresenta una delle normative più ambiziose e complesse dell’Unione Europea in materia di regolamentazione digitale. Entrato in vigore di recente, mira a creare un ambiente online più sicuro e trasparente, imponendo requisiti severi alle piattaforme digitali per quanto riguarda la moderazione dei contenuti, la pubblicità online e la protezione dei dati personali. La legge si applica in modo differenziato a seconda delle dimensioni e della portata delle piattaforme. I social e le app con un numero elevato di utenti sono soggette a obblighi più stringenti. Come l’obbligo di rimuovere rapidamente i contenuti illegali e fornire maggiore trasparenza sulle operazioni di moderazione.

L’indagine su Telegram rappresenta un caso emblematico delle sfide che le grandi piattaforme digitali devono affrontare nel nuovo contesto normativo europeo. La Commissione Europea, con questa mossa, sottolinea la sua determinazione a far rispettare le regole del DSA, inviando un chiaro messaggio a tutte le aziende tecnologiche. Il rispetto delle normative è fondamentale per operare all’interno dell’Unione. Ora resta da vedere come Telegram risponderà a queste accuse, data anche l’oscura vicenda che ha riguardato il suo fondatore. E quali saranno le eventuali ripercussioni sul panorama digitale europeo.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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