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Lavoro, settimana corta sempre più diffusa in Europa: ecco come funziona

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La settimana corta lavorativa fa breccia anche in Germania, dopo una serie di altri paesi europei. Berlino avvia un periodo di sperimentazione di 6 mesi in 45 aziende: i dipendenti lavoreranno un giorno in meno a settimana a parità di retribuzione. La Germania da tempo sta fronteggiando una crisi a causa della carenza di manodopera, che l’introduzione della settimana corta lavorativa potrebbe riuscire a limitare.

A detta dei suoi sostenitori, i benefici della settimana corta riguardano in primo luogo il benessere fisico e mentale dei lavoratori, il che porterebbe anche a un aumento della loro produttività. Inoltre, anche coloro che non sono disposti a lavorare una settimana intera sarebbero invogliati a entrare nella forza lavoro, contribuendo a ridurre l’attuale carenza di manodopera che colpisce i paesi industrializzati di tutto il mondo.

Foto X @TgrRai

La Germania ha perso 90 miliardi

In Germania, infatti, ma anche in Italia, si lotta contro la mancanza di lavoratori in settori qualificati. Mancanza che è dovuta a fattori di vario genere fra cui anche le condizioni lavorative, spesso mal retribuite e costruite attorno a un meccanismo di sostanziale sfruttamento dei lavoratori. Un numero crescente di aziende con lavoratori dipendenti è sempre più in difficoltà nel reperire manodopera specializzata nelle manifatture. Non solo. Così come c’è bisogno di operai specializzati – dai tornitori ai saldatori, ad esempio – in molte attività commerciali mancano camerieri, cuochi, commessi.

Lo scorso novembre la Camera di Commercio e Industria (DIHK) della Germania ha dichiarato che metà delle aziende tedesche fatica a coprire i posti vacanti. Le migliaia di posti di lavoro non occupati nell’economia tedesca hanno causato una perdita di oltre 90 miliardi di euro nell’ultimo anno, pari a oltre il 2% del Prodotto interno lordo (Pil) tedesco, secondo il vice direttore generale della DIHK, Achim Dercks.

La settimana corta in Italia

La Germania, dunque, è un altro paese europeo che comincia a testare la settimana lavorativa di 4 giorni. Negli anni scorsi hanno lanciato progetti simili anche Spagna, Islanda, Svezia, Finlandia e Regno Unito. E in Italia? Il Parlamento non ha mai approvato una modifica legislativa né una sperimentazione su larga scala nazionale.

Foto X @liubasoncini

Eppure il numero di aziende che scelgono di sperimentare la nuova organizzazione dell’orario di lavoro cresce di anno in anno. Una delle prime a introdurre la settimana corta è stata la banca Intesa San Paolo. La sperimentazione è cominciata ormai più di un anno fa ed è stata proposta ai circa 28mila dipendenti del gruppo che lavorano nelle filiali. Di loro, circa il 70% ha scelto di abilitare la settimana lavorativa di 4 giorni. Nelle scorse settimane si sono aggiunte altre due aziende. Una EssilorLuxottica, che ha proposto ai propri dipendenti la possibilità di applicare la settimana lavorativa di 4 giorni per 20 settimane all’anno, a parità di salario.

Il caso Lamborghini

L’altra è Lamborghini, che agli inizi dello scorso mese di dicembre ha firmato un nuovo accordo sindacale che prevede l’alternarsi di una settimana da 5 giorni e una da 4. E non a parità di salario ma a salario maggiorato. Soddisfatti i sindacati: “Lavorare meno e lavorare meglio – hanno affermato – è il principio che ha guidato questa trattativa e che si pone all’interno di un ragionamento più complessivo. In un momento dove si attacca il potere di acquisto di chi lavora, mentre non si toccano i grandi patrimoni e gli extraprofitti, la trattativa in Lamborghini pone alcuni punti cardine. Ridurre l’orario, alzare il salario, tutelare chi lavora in condizioni peggiori e dare sempre più strumenti per il contrasto alla violenza di genere“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore. Segui Domenico su Facebook Segui Domenico su Linkedin

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