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TikTok bandito dal Nepal: “Danneggia l’armonia”

Stop anche in India (da 3 anni) e nel Montana (Usa). In Indonesia chiuso lo shop online, mentre in Italia se n'è parlato ma non è successo nulla

Il social network più amato e frequentato dagli adolescenti, ovvero TikTok, è ufficialmente vietato in Nepal, il paese himalayano di 30 milioni di abitanti incastonato fra India e Tibet. TikTok è di proprietà cinese e sono già diversi i paesi che lo stanno da tempo osteggiando. L’India, in perenne competizione con la Cina, lo ha bandito dal 2020 e negli Usa lo Stato del Montana lo ha vietato.   

Ma perché tutta questa ostilità? Generalmente si teme che TikTok, azienda di uno Stato totalitario come la Cina, che è anche la seconda superpotenza nucleare del mondo dopo gli Stati Uniti, sia uno strumento di profilazione e spionaggio mascherato da parte di Pechino sui dati personali di cittadini di tutto il mondo.

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Il logo dell’app di Tiktok. Foto Ansa/Epa Ritchie B. Tongo

TikTok, dove è bandito nel mondo

Tuttavia, almeno sul piano formale, il Nepal ha bandito l’app TikTok perché il suo contenuto “era dannoso per l’armonia sociale“. La decisione, riporta la Bbc, è arrivata pochi giorni dopo che il paese himalayano ha introdotto una nuova regola che impone alle società proprietarie dei social media di istituire uffici di collegamento in loco.

Come accennato, TikTok – che conta circa 1 miliardo di utenti attivi al mese – è stato bandito da diversi paesi tra cui l’India. All’inizio di quest’anno, il Montana è diventato il primo stato degli Usa a vietarlo, mentre il Parlamento britannico lo ha eliminato dalla sua rete. Il Pakistan ha temporaneamente vietato l’app almeno quattro volte dall’ottobre 2020, mentre il suo servizio di shopping online è chiuso in Indonesia dallo scorso ottobre.

Nepal, i contrari al divieto

Tornando al Nepal, il ministro delle Comunicazioni e dell’informatica, Rekha Sharma, ha dichiarato alla Bbc nepalese che la piattaforma diffonde contenuti dannosi e che “il divieto entrerà in vigore immediatamente“.

La decisione dell’esecutivo nepalese è però controversa. Gagan Thapa, uno dei leader del Nepali Congress, che fa parte della coalizione di Governo, ha messo in dubbio la decisione di imporre un divieto su TikTok. Ha detto che si tratta di un tentativo di limitare la libertà di espressione e che i funzionari dovrebbero concentrarsi sulla regolamentazione della piattaforma. TikTok è sotto esame dalle autorità di tutto il mondo a causa delle preoccupazioni che i dati possano finire nelle mani del Governo cinese per scopi occulti.

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Il parlamento del Regno Unito ha chiuso il suo account TikTok. Foto Ansa/Epa Andy Rain

Il ‘peso’ di TikTok nel mondo

La società madre di TikTok, ByteDance, naturalmente respinge ogni accusa. Sebbene il social più in voga fra i giovanissimi sia in ritardo rispetto a Facebook e Instagram (che appartengono entrambi a Meta di Mark Zuckerberg), la sua crescita tra i giovani supera di gran lunga quella della concorrenza. Secondo i media locali, negli ultimi quattro anni in Nepal si sono registrati più di 1.600 casi di criminalità informatica legati a TikTok.

Stando invece al rapporto della Bbc Media Action sull’utilizzo dei media in Nepal, TikTok è la terza piattaforma più seguita a livello nazionale, anche perché si caratterizza per continui cambiamenti. Mentre YouTube e Facebook sono popolari tra gli utenti Internet di tutte le fasce d’età, TikTok è molto popolare tra le fasce d’età più giovani. Con oltre l’80% degli utenti di social media di età compresa tra 16 e 24 anni che utilizzano la piattaforma. Per quanto riguarda l’Italia, il dibattito svoltosi all’interno del Governo lo scorso febbraio non ha portato poi a un divieto di TikTok neppure per i dipendenti pubblici, sulla scorta di quanto invece avvenuto per i dipendenti della Commissione europea.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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