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Perché anche Israele pagava Hamas?

La strategia di Netanyahu e la confusione sulle sorti della Striscia dopo-Hamas

È trascorso ormai un mese dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, e con l’entrata dell’esercito israeliano a Gaza City sono già in molti ad interrogarsi sugli scenari del dopoguerra. Dove la leadership israeliana, militare e politica, tra smentite e accuse, non sembra ancora esser riuscita a definire chiaramente gli obiettivi di lungo termine del conflitto.

L’obiettivo immediato è distruggere Hamas, ma non si sa ancora molto sul dopo. E appaiono sempre più discordanti le ultime dichiarazioni pubbliche al riguardo tra quelle del governo israeliano e quelle degli USA. Come potrà Israele gestire la rabbia e la delusione della popolazione arabo-palestinese?

Presidente Netanyahu/ FOTO ANSA

Il “dopo-Hamas”: Israele confusa sulla gestione e l’eventuale occupazione militare di Gaza 

L’incertezza circa le sorti del “dopo Hamas” potrebbe essere intenzionale, per evitare di divulgare pubblicamente i propri piani per la Striscia di Gaza. Ma sono sempre più numerose le indiscrezioni e le dichiarazioni pubblicate sui media in queste settimane. Dove appaiono evidenti le contraddizioni tra politici e militari israeliani sulla questione, rispetto anche alle posizioni dell’amministrazione USA. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ad esempio avrebbe detto in un’intervista alla TV americana ABC che «Israele avrà la responsabilità complessiva della sicurezza [nella Striscia di Gaza, n.d.r.] per un periodo indefinito, perché abbiamo visto cosa succede quando non l’abbiamo». Questa dichiarazione di Netanyahu lascia dunque intendere che Israele, dopo la guerra, occuperà militarmente la Striscia di Gaza come accaduto tra il 1967 e il 2005, fino al ritiro promosso dall’allora presidente israeliano Ariel Sharon.  

Presidente Netanyahu e il segretario di Stato USA Antony Blinken/ FOTO ANSA

Ma le posizionni di Netanyahu smentiscono non solo le dichiarazioni recenti di altri membri del suo stesso governo, che nelle scorse settimane hanno escluso la possibilità di un’occupazione. Come il ministro della Difesa Yoav Gallant che ha negato l’intenzione di un coinvolgimento e una responsabilità futura dell’esercito israeliano sulla vita nella Striscia di Gaza. Ma è una possibilità osteggiata anche dall’amministrazione americana di Joe Biden. Dove la settimana scorsa il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che «Israele non può riassumere il controllo e la responsabilità su Gaza». Nessuno sa davvero dunque come potrebbe funzionare il dopo-Hamas, ammesso ovviamente che Israele riesca a uscire in tempi brevi vincitore dalla guerra in corso.  Perché molte delle condizioni che Israele si troverà ad affrontare alla fine del conflitto, dipenderanno inevitabilmente anche dalla durata della violenza. 

La strategia di Netanyahu su Hamas: il finanziamento ai terroristi per indebolire la leadership palestinese

Tra le altre questioni più scottanti del dopoguerra ci sarebbe anche la leadership di Netanyahu. Dove sono in moltissimi oggi a credere che Bibi (diminutivo, n.d.r.) Netanyahu sia giunto ormai ad una fine politica certa. Viste le sue importanti responsabilità non solo nell’escalation delle violenze fra esercito israeliano ed i civili palestinesi in Cisgiordania; ma anche nel “mantenimento” di Hamas. Il primo ministro, difatti, convinto come l’ex presidente israeliano Rabin, dell’utilità di Hamas per mantenere debole e divisa la leadership palestinese tra Cisgiordania e Striscia di Gaza.  Già nel 2016-2018 partecipava con milioni di dollari in contanti, trasportati in valigette nere attraverso il valico di Erez, a finanziare Hamas. Consentendo inoltre in questi anni anche al denaro del Qatar di entrare nella Striscia, con il pretesto di sostenere progetti infrastrutturali urgenti.

Proteste pro-Palestina in India/ FOTO ANSA

Denaro che poi nelle casse di Hamas, è servito in gran parte ad armare il gruppo e a guadagnarsi il sostegno della popolazione ridotta nello stato di povertà più assoluto. La strategia di Netyanhu era semplice: rafforzare da una parte la presenza di Hamas a Gaza per scongiurare un’unica autorità palestinese. E dall’altra allo stesso tempo contenere la violenza pagandone la sopravvivenza. L’esistenza di gruppi terroristici come Hamas difatti regala a Israele il pretesto di una pressante presenza militare nella Striscia. E soprattutto scredita agli occhi della comunità internazionale, specie in Occidente, l’immagine del popolo arabo-palestinese. Che convivendo con Hamas può esser più facilmente etichettato e spacciato dai media come pericoloso e amico dei “terroristi”.  Ma il suo piano è clamorosamente fallito. Ed ora la responsabilità di questa sanguinosissima guerra dovrà ricadere anche e soprattutto sul numero 1 di Israele e la sua strategia presente e passata.  

Chiara Cavaliere

Attualità, Spettacolo e Approfondimenti

Siciliana trapiantata nella Capitale, dopo la maturità classica ha coltivato la passione per le scienze umane laureandosi in Scienze Politiche alla Luiss Guido Carli. Senza mai abbandonare il sogno della recitazione per cui ha collaborato con le più importanti produzioni cinematografiche italiane tra cui Lux Vide, Lotus e Italian International Film.
Si occupa di attualità e degli approfondimenti culturali e sociali di MAG Life, con incursioni video. Parla fluentemente inglese e spagnolo; la scrittura è la sua forma di attivismo sociale. Il suo mito? Oriana Fallaci.

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