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Mafia, è morto Matteo Messina Denaro

Il boss aveva un tumore al colon. Non ha collaborato con la giustizia. "Ha fatto tanto male" ha detto il sindaco di Castelvetrano

Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è morto nella notte del 25 settembre. Dopo un’agonia di alcuni giorni è deceduto nell’ospedale dell’Aquila, città nel cui carcere era detenuto dallo scorso gennaio, in seguito al suo arresto a Palermo dopo trent’anni di latitanza.

Matteo Messina Denaro è stato responsabile, come accertato da indagini e sentenze della magistratura, di molti dei peggiori omicidi e stragi di mafia, comprese le stragi del 1992 e 1993 ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E alla Torre dei Pulci a Firenze, in Via Palestro a Milano, a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro a Roma. Si ritiene inoltre che Messina Denaro sia coinvolto nella morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, 14 anni, figlio di un pentito di mafia, ucciso e sciolto nell’acido.

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Matteo Messina Denaro arrestato lo scorso 16 gennaio Foto Ansa/Carabinieri

Messina Denaro e le coperture

Il capomafia, 62 anni, soffriva di una grave forma di tumore al colon che i medici gli avevano diagnosticato mentre era ancora ricercato, alla fine del 2020. Ed era stato proprio il cancro a portare i carabinieri del Ros e la Procura di Palermo sulle tracce del boss, riuscito a sfuggire alla giustizia per 30 anni.

Cosa che è stata possibile grazie a potenti, diffuse al altolocate coperture, a vari livelli: sul territorio del Trapanese, in Sicilia e a livello nazionale. Complicità tutte ancora da scoprire e da portare alla luce ma che è impossibile negare, altrimenti non si spiega la lunghissima latitanza del boss, trascorsa perlopiù nella sua terra.

Il tumore e la chemio

Dopo la cattura, lo scorso 16 gennaio, Matteo Messina Denaro è stato sottoposto alla chemioterapia nel supercarcere dell’Aquila. Attigua alla sua cella c’era una sorta di infermeria. Un’équipe di oncologi e infermieri del nosocomio abruzzese ha costantemente seguito il paziente apparso subito, comunque, in condizioni molto gravi. Nei 9 mesi di detenzione, i sanitari hanno operato due volte il padrino di Castelvetrano (Trapani) a causa delle complicanze legate al cancro. Dall’ultimo intervento non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere, ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale, trattandolo con la terapia del dolore e poi sedandolo.

Il testamento biologico del boss

Prima di perdere coscienza ha incontrato alcuni familiari e dato il cognome alla figlia Lorenza Alagna, avuta in latitanza e mai riconosciuta. La giovane, che aveva incontrato il padre per la prima volta in carcere ad aprile, insieme a una delle sorelle del capomafia e alla nipote Lorenza Guttadauro, che è anche l’avvoca del boss, è stata al suo capezzale negli ultimi giorni. Venerdì 22 settembre, sulla base del testamento biologico lasciato dal boss che ha rifiutato l’accanimento terapeutico, gli è stata interrotta l’alimentazione e i medici lo hanno dichiarato in coma irreversibile. Nei giorni scorsi la Direzione sanitaria della Asl dell’Aquila ha cominciato a organizzare le fasi successive alla morte del boss e quelle della riconsegna della salma alla famiglia, rappresentata da Lorenza Guttadauro e Lorenza Alagna.

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Il vescovo emerito di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, ha pronunciato parole dure su Messina Denaro. Foto Ansa

“Non ho ucciso il bambino…”

Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante – aveva detto Messina Denaro al procuratore Maurizio De Lucia e all’aggiunto Paolo Guido, come ricorda Palermo Today – voi mi avete preso per la malattia. Senza la malattia non mi prendevate. Io non mi farò mai pentito“. A quanto sembra avido lettore – da Alda Merini a Céline – e appassionato di storia antica, Messina Denaro è stato condannato, come detto, per le stragi del 1992 e del 1993. Per quanto riguarda il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il boss ha ammesso di aver dato l’ordine di sequestro, salvo affermare: “Ma io il bambino non l’ho ucciso“. In questo modo scaricando la responsabilità dell’assassinio efferato sul boss Giovanni Brusca.

“Messina Denaro? poca pietà…”

Su Matteo Messina Denaro il vescovo emerito di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, aveva usato parole dure all’indomani dell’arresto. Mogavero è celebre per aver rifiutato il funerale al boss Mariano Agate. “Non è una persona per cui possiamo avere troppa pietà” aveva detto ai cronisti riferendosi a Messina Denaro. “Se non ci fossero state tante coperture, per affetto, per amicizia o per paura, sarebbe stato arrestato prima“. “In questi nostri ambienti non si può dire di no. Non per paura ma per intimità, per vita trascorsa insieme. Oggi ha vinto lo Stato, ora spero che vinca la nostra gente, che esca dalla situazione di paura e finalmente possano tutti esultare” aveva aggiunto.

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Enzo Alfano, sindaco di Castelvetrano (Trapani), il paese di Matteo Messina Denaro. Foto Ansa

I sindaci di Campobello e Castelvetrano

Muore un uomo che ha fatto tanto male alla sua terra. Ci vorranno decenni ancora, prima che culturalmente si ponga fine a una mentalità, a una cultura, talvolta dilagante, di illegalità, di impunità, che lui e i suoi accoliti e altri prima di loro, hanno coltivato per troppo tempo“. Queste le parole del sindaco di Castelvetrano, Enzo Alfano. A parlare è stato anche Giuseppe Castiglione, sindaco di Campobello di Mazara, il paese in cui Messina Denaro ha vissuto gli ultimi anni di latitanza e dove lo hanno arrestato. “Si scrive la parole fine su colui che per 30 anni ha provocato ferite profondissime e mortali non soltanto nella nostra provincia” ha detto.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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