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Rogo Thyssenkrupp Torino, l’ex ad Espenhahn in galera dopo 16 anni

Finora, malgrado la condanna, era riuscito a sfuggire alla detenzione. Sconterà 5 anni in semilibertà. I parenti delle vittime: "Una pena da niente"

Torna alla ribalta iI caso dell’incendio alla Thyssenkrupp di Torino nel 2007. Il manager Harald Espenhahn – ex amministratore delegato della divisione italiana dell’acciaieria tedesca –  si trova infatti in carcere in Germania dal 10 agosto scorso. Sconterà la pena in regime di semilibertà, recandosi in prigione soltanto per dormire. Tuttavia, è questo il punto, uno dei più alti responsabili del disastro comincia a scontare la sua pena. 

A quasi 16 anni dall’incendio dello stabilimento torinese, il 6 dicembre 2007, che provocò la morte di 7 lavoratori, la vicenda processuale arriva quindi a una conclusione. Espenhahn aveva ricevuto una condanna dal tribunale a 5 anni, ma finora non aveva scontato nemmeno un giorno di carcere.

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Harald Espenhahn, fra i responsabili della mancata manutenzione da cui ebbe origine l’incendio all’impianto di Torino. Foto Ansa

Thyssenkrupp, cosa successe

Nella notte fra il 5 e 6 dicembre di 16 anni fa 8 operai furono coinvolti in un’esplosione che causò la morte di 7 di loro mentre stavano lavorando. Si tratta di una dei peggiori incidenti mortali sul lavoro mai avvenuti nell’Italia contemporanea. Secondo la sentenza definitiva passata in giudicato all’origine del disastro ci fu la mancata manutenzione degli impianti da parte delle più alte cariche dell’azienda.

Dopo tanto correre, scappare dalla giustizia – commenta l’ex operario Antonio Boccuzzi, scampato all’incendio, per alcuni anni parlamentare – Espenhahn ha varcato la soglia del carcere. Non è un risarcimento, non è vendetta. È solamente l’unico epilogo che si sarebbe già dovuto compiere da tempo e che è stato solo rimandato“.

A luglio il settimanale Der Spiegel ha riportato la notizia di un manager tedesco di Thyssenkrupp – “condannato in Italia per un incendio con 7 morti” – che ha visto fallire a fine maggio il proprio ricorso presso la Corte costituzionale federale tedesca. Obiettivo del ricorso era quello di evitare di scontare la propria pena per “omicidio colposo e incendio doloso colposo“. Dell’accusato il quotidiano tedesco non ha citato il nome, probabilmente per una ricorrente linea tedesca sulla privacy.

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Disperazione e indignazione tra i familiari delle vittime nel 2013, nel corso del processo. Foto Ansa/Alessandro Di Marco

Il caso in Italia e in Germania

In base ai processi nel nostro Paese sul caso Thyssenkrupp, il manager tedesco aveva ricevuto una condanna nel 2016 e il tribunale gli aveva inflitto una pena di 9 anni e 8 mesi di carcere. Il tribunale regionale di Essen, in Germania, ha poi commutato il verdetto di colpevolezza in una condanna a 5 anni di carcere in Germania, pena massima tedesca per questo reato. Dopo il tentativo di ricorso del condannato, la Corte costituzionale tedesca ha stabilito a maggio scorso di non poterlo accettare contro le modalità del processo in Italia. E che, inoltre, la colpevolezza del manager è evidente. Da quel momento, il passaggio successivo è diventata l’apertura delle porte del carcere.

I familiari delle vittime

Da Torino è arrivata la voce dei familiari degli operai morti nell’incendio. “Non siamo contenti. Mettiamo la parola fine a questa sentenza che non ci soddisfa per niente” ha detto Rosina Platì, madre di Giuseppe Demasi, uno dei 7 operai morti nel rogo. “Non siamo contenti” ribadisce. “In confronto a quello che volevamo, anzi che meritavano, non è nulla. Quello che mi dà ancora più fastidio è che questo poco lo abbiamo raggiunto noi, con tutte le lotte che abbiamo fatto. Se qualcuno ci avesse aiutati, magari saremmo riusciti a ottenere qualcosa di più“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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