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Fukushima, rilascio di acqua contaminata nell’Oceano Pacifico

A 12 anni dal disastro nucleare il Giappone non sa più come contenere i liquidi radioattivi. Ma per l'ONU l'impatto sarà "trascurabile"

Il Giappone rilascerà in mare, nell’Oceano Pacifico, le acque contaminate della centrale nucleare distrutta di Fukushima. E lo farà con il via libera dell’Aiea, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica dell’ONU. La decisione fu presa 2 anni fa, ma adesso è il momento in cui Tokyo la rende operativa.

Secondo la Corea del Sud, il paese asiatico ‘dirimpettaio’ del Giappone, se Tokyo realizzerà il piano come previsto, riuscirà a soddisfare gli standard internazionali di sicurezza. Non inquinerà, dunque, più di quanto non sia ufficialmente ammissibile. Magra consolazione se si pensa che, comunque sia, uno dei paesi del G7 sta per immettere nel Pacifico, oceano già gravemente ammalato di plastiche e microplastiche ovunque – si pensi alla cosiddetta isola di plastica grande 3 volte la Francia nel Pacifico del Nord – sostanze altamente pericolose per l’ambiente.

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Rafael Mariano Grossi (al centro), direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) a Fukushima il 5 luglio 2023. Foto Ansa/Epa Hiro Komae

Perché c’è acqua contaminata

Non è bastata la netta opposizione dei giapponesi, dell’industria della pesca e dei rappresentanti dell’agricoltura locale. Il Governo di Tokyo ha deciso contro tutto e contro tutti di rilasciare nell’Oceano Pacifico l’acqua contaminata fino a oggi impiegata per raffreddare i reattori danneggiati dall’incidente nucleare di Fukushima del 2011. L’annuncio formale era arrivato dal premier Yoshihide Suga nel 2021. Lo sversamento comincerà quest’anno.

La manutenzione quotidiana della centrale di Fukushima Daiichi genera ogni giorno l’equivalente di 140 tonnellate di acqua contaminata. La quale, nonostante sia trattata negli impianti di bonifica, continua a contenere il trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. Il punto è che secondo il gestore della centrale, la Tokyo Electric Power (Tepco), le cisterne hanno raggiunto la massima capacità consentita. Non esisterebbe più alcuna possibilità di ‘trattenere’ l’acqua contaminata e smaltirla, se non sversandola in mare in maniera controllata.

Già nel febbraio del 2020, durante una visita alla centrale, il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Rafael Grossi, aveva affermato che il rilascio dell’acqua nell’Oceano Pacifico sarebbe stato in linea con gli standard internazionali dell’industria nucleare. Insomma, quella che arriva oggi, nel 2023, è una decisione annunciata, a prima vista legale sul piano del diritto internazionale e gelidamente calcolata da anni. Col beneplacito di Rafael Mariano Grossi tornato a Fukushima in questi giorni.

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I membri di un gruppo ambientalista coreano tengono striscioni con la scritta “Niente acqua radioattiva di Fukushima”. Foto Ansa/Jeon Heon-Kyun

Fukushima, la Cina fa muro

Ma la Cina, l’altra ‘dirimpettaia’ del Giappone, contrariamente alla Corea del Sud non ci sta. Pechino ha perciò annunciato un bando parziale alle importazioni di cibo dal Giappone. Niente più alimenti che finora arrivavano da 10 prefetture nipponiche, territori dove potrebbe verificarsi un tracollo di questo settore di mercato. La Cina è la più grande acquirente di prodotti ittici del Giappone. E ora Tokyo deve far fronte a una seria minaccia commerciale per la propria produzione alimentare.

Ma per l’ONU si va avanti. Secondo l’Aiea, il piano di Tokyo è in linea con gli standard di sicurezza globali. Grossi si è recato in prima persona in Giappone per presentare al primo ministro nipponico Fumio Kishida il report. Lo scarico dell’acqua trattata avrebbe “un impatto radiologico trascurabile sulle persone e sull’ambiente” afferma il direttore dell’agenzia intergovernativa.

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La centrale nucleare di Fukushima, in Giappone. Foto Twitter @AntCianciullo

Dodici anni fa la catastrofe

Il destino delle acque di Fukushima lo si decide 12 anni dopo il disastro nucleare: il più grande della storia giapponese. Ma anche l’unico, insieme a quello di Chernobyl, il 26 aprile 1986 – in Unione Sovietica, nell’odierna Ucraina – ad avere raggiunto il livello 7 della scala INES. Ossia il livello di gravità massima degli incidenti nucleari. L’11 marzo del 2011, il terremoto di Tōhoku, di magnitudo 9, e il conseguente tsunami, provocarono il surriscaldamento del combustibile nucleare nella centrale. Successivamente, fu il nocciolo dell’impianto a fondersi. Seguirono dalle esplosioni di idrogeno e le successive emissioni di radiazioni.

Fukushima, differenze con Chernobyl

Lo smantellamento della centrale, tuttora in corso, comprensivo della rimozione dei detriti prodotti dal combustibile esausto, potrebbe durare fino al 2051. Le autorità giapponesi all’epoca ordinarono l’evacuazione di circa 1.500.000 di persone entro un raggio di 20 chilometri da Fukushima. A differenza di quanto avvenne a Chernobyl, non vi fu un incendio con immissione di grandi quantità di radionuclidi nell’atmosfera. Bensì un rilascio di elementi radioattivi nell’oceano. La contaminazione da perdite d’acqua radioattiva verso il sottosuolo e l’ambiente oceanico è ancora esistente. Ci sono incertezze e preoccupazioni riguardo a cosa accadrà nel futuro.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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