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Cina, repressione a Hong King in vista dell’anniversario di Tienanmen

Vietate le manifestazioni, e rimosse le statue, per ricordare il massacro di migliaia di giovani pro-democrazia nel 1989 a Pechino

A meno di un mese dal 34° anniversario della strage di migliaia di giovani e studenti pro-democrazia in piazza Tienanmen a Pechino – ricordi e celebrazioni sono vietate in Cina – anche nella Hong Kong sotto bandiera cinese la repressione si acuisce.    

La polizia di Hong Kong – l’ex città-Stato indipendente passata nel 1997 sotto sovranità della Cina – ha sequestrato una scultura di un artista danese che commemora le vittime del massacro di Tiananmen avvenuto nella notte fra il 3 e il 4 giugno 1989. La motivazione ufficiale è che si tratti di una prova di “incitamento a sovvertire il potere statale“: un’accusa ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale. Non solo. È stata rimossa anche la copia della Dea della Democrazia: la statua simbolo di libertà che gli studenti di Tienanmen issarono durante le proteste.

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Studenti sotto la statua del “Pilastro della vergogna” all’Università di Hong Kong nel 2021, in occasione del 32° anniversario della strage di Piazza Tiananmen. Foto dal sito Rfa.org

Hong Kong, vietata anche la veglia

A riportare la notizia è il sito di Radio Free Asia in cui si racconta come la polizia abbia prelevato la scultura in rame Pillar of Shame (pilastro della vergogna) di 2 tonnellate e 8 metri in onore delle vittime della repressione da parte dell’Esercito popolare di liberazione della Cina. L’opera è stata rimossa dal deposito in cui si trovava, nel distretto settentrionale di Yuen Long a Hong Kong.

La mossa arriva a poche settimane dall’anniversario dello spargimento di sangue. A Hong Kong per tre decenni migliaia di persone si sono radunate ogni anno in una veglia a lume di candela nel Victoria Park. Ma l’evento adesso è bandito. In tutta la megalopoli la repressione della Cina di Xi Jinping contro il dissenso pubblico e la protesta, ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale del 2020, si sta rafforzando.

Già nel dicembre 2001, ricorda Radio Free Asia, le autorità dell’Università di Hong Kong avevano rimosso il Pilastro della Vergogna. Adesso lo hanno portato via perfino dal deposito a Yuen Long. Ma in questi giorni le autorità dell’Università di Hong Kong, sotto controllo della Cina, hanno rimosso persino una replica in bronzo di 6,4 metri della figura della Dea della Democrazia. Si tratta della copia della statua che gli studenti di Piazza Tienanmen utilizzarono nel corso delle proteste poi represse nel sangue. Anche l’Università di Lingnan ha rimosso o ridipinto due opere d’arte pubbliche che commemorano le vittime del massacro.

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Il presidente cinese Xi Jinping. Foto Ansa/Epa/Xinhua Yan Yan

Lo scultore danese Jens Galschiøt, che ha creato il Pillar of Shame, si dice pronto ad azioni legali sebbene l’efficacia di atti del genere contro le autorità della Cina appaia velleitaria. Galschiøt ha affermato che il significato dell’opera d’arte era emblematico della soppressione della libertà di espressione a Hong Kong durante la repressione in corso da parte del Partito Comunista al potere. Un motivo in più, dal punto di vista della dittatura cinese, per eliminare la statua.

Tienanmen, cosa è successo

Ma chi erano i giovani cinesi di Tienanmen? Chiedevano dialogo, riforme, democrazia. E occuparono la piazza di fronte alla Città Proibita per settimane. Malgrado gli appelli alla “desistenza” il Governo della Cina avviò invece la “normalizzazione” della protesta. Detto in parole crude: la repressero nel sangue nel cuore della notte del 4 giugno 1989. Tanti, tantissimi, i giovani che finirono stritolati dai cingoli dei carri armati. Molti altri furono arrestati.

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Giovani ed esercito in piazza Tienanmen, nel giugno 1989, prima dle massacro. Foto Ansa/Afp Henriette, Ceneta, Cheng

Il regime ha sempre parlato di 319 morti ma si tratta di una cifra non credibile. Quasi certamente furono svariate migliaia. Non esiste un bilancio certo di quello che però è passato alla storia come uno dei peggiori massacri di innocenti del Novecento. Finì in carcere anche l’uomo che nel 2010 – in contumacia perché di nuovo imprigionato a causa della sua lotta indefessa per i diritti umani – ricevette il Premio Nobel per la Pace: il professor Liu Xiaobo. Liu è morto il 13 luglio 2017 per le conseguenze della plurime detenzioni subite.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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