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Twitter censurato per ore in Turchia dopo le proteste dei terremotati

Erdogan è in campagna elettorale e per due giorni non si è fatto vedere sui luoghi del disastro

I social media, da Facebook e Instagram a Twitter e tutti gli altri, sono sempre più importanti. Emblematica è la sospensione nelle ultime ore dell’accesso a Twitter nella Turchia devastata dal terremoto del 6 febbraio, per volontà del Governo del presidente Recep Tayyip Erdogan.

Il 9 febbraio il neo patron di Twitter, Elon Musk, ha fatto sapere in uno dei suoi ‘cinguettii’ che “il governo turco ha informato Twitter che l’accesso sarà ripristinato a breve“.

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Un bimbo trovato vivo dopo 80 ore sotto le macerie del terremoto in Turchia. Foto Ansa/Twitter/Sehabettin Aydin

Twitter e i social per chiedere aiuto

Le autorità di Ankara avevano precluso ai turchi la possibilità di accedere al social a causa delle proteste che si erano diffuse online sui ritardi e l’impreparazione del Governo nell’affrontare le conseguenze del sisma e far giungere rapidamente i soccorsi sui luoghi del disastro. Ma c’è di più. Il blocco di Twitter è avvenuto nella consapevolezza che anche attraverso quel social, così come attraverso gli altri, molte persone da sotto le macerie stavano cercando di comunicare con l’esterno per chiedere aiuto segnalando la propria posizione in mezzo agli edifici collassati su se stessi.

Proteste che fanno paura a Erdogan

Prima del tweet di Musk, NetBlocks, un osservatorio internazionale specializzato che monitora l’accesso alla rete, aveva indicato che era in corso un blocco di Twitter da parte dei tre principali provider di internet in Turchia, ovvero TurkTelekom, Turkcell e Vodafone. Dopo il devastante terremoto che ha colpito il sud della Turchia, il 6 febbraio, non pochi cittadini, su Twitter ma non solo, hanno infatti esternato delusione e rabbia verso Erdogan e il Governo di Ankara.

Il paese si trova alla vigilia della campagna elettorale per le elezioni del prossimo 14 maggio, e per due lunghi giorni dopo il sisma, fino all’8 febbraio, il presidente Erdogan non si è fatto vedere sui luoghi della tragedia. Per tutta risposta alle proteste sui social, il Governo turco ha fatto arrestare alcuni presunti “provocatori” accusati di diffondere “disinformazione” tramite Twitter.

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in mezzo ai terremotati di Kahramanmaras l’8 febbraio 2023. Per due giorni Erdogan non si è fatto vedere sui luoghi del disastro. Foto Ansa/Epa Murat Cetinmuhurdar

La verità sulla speculazione edilizia

Ma al di là delle critiche sui ritardi nei soccorsi ai terremotati, e sul fatto che la popolazione nelle prime ore della tragedia si è aiutata da sola perché le squadre specializzate tardavano ad arrivare, sono altre le proteste via Twitter e social che inquietano Erdogan. Ovvero quelle che si stanno moltiplicando per mettere sotto accusa vent’anni di strapotere dell’Akp, il partito islamico per la Giustizia e lo Sviluppo del padre-padrone Erdogan.

A causa, infatti, di oltre 2mila edifici crollati come burro sotto lo schianto del terremoto del 6 febbraio, molti turchi stanno scoprendo che si tratta di palazzi costruiti nell’era Erdogan senza una minima sicurezza antisismica. Nella provincia di Hatay, una delle zone dove la catastrofe è maggiore, il presidente della Camera degli Architetti, Mustafa Ozcelik, ha criticato aspramente il Governo e i poteri locali. E sostiene che in tutti questi anni le pianificazioni urbane siano state accantonate per dare il via libera a una feroce speculazione edilizia senza alcuna tutela del territorio e dei suoi abitanti.

In questo contesto i social media (Twitter ma non solo) diventano un veicolo di diffusione delle critiche e delle proteste potenzialmente molto pericoloso per il regime quasi dittatoriale di Erdogan. È così che si può spiegare il blocco scattato per Twitter, a fronte di una situazione gravissima dovuta al terremoto, in cui si contano ormai oltre 15mila vittime. Una cifra destinata ad aggravarsi.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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