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Perquisito il covo del boss Matteo Messina Denaro: emerge la storia della latitanza

Trent'anni fa quello di Totò Riina fu lasciato intonso per giorni: da lì sparirono documenti segreti finiti forse nelle mani di 'U siccu'

I carabinieri hanno perquisito il covo dove si rifugiava il boss Matteo Messina Denaro, 60 anni, detto U siccu. Il mafioso di Castelvetrano (Trapani) è stato arrestato alla clinica La Maddalena di Palermo il 16 gennaio. Indagato il medico che lo curava.

Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo, fra l’altro, come mandante delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, e per aver fatto uccidere e sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo. A lui si imputano poi molti altri crimini.

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Carabinieri fuori dal nascondiglio del boss di mafia, Matteo Messina Denaro, a Campobello di Mazara (Trapani), il 17 gennaio 2023. Foto Ansa/Max Fireri

Indagato il medico di Messina Denaro

La perquisizione è durata tutta la notte. Il covo dell’ultimo padrino della mafia stragista degli Anni Novanta si trova a Campobello di Mazara, nel trapanese. In manette assieme al capomafia è finito Giovanni Luppino, accusato di favoreggiamento. Sotto inchiesta è invece Alfonso Tumbarello, 70 anni, il medico che aveva in cura Matteo Messina Denaro. Tumbarello è di Campobello di Mazara ed è stato per decenni medico di base in paese, sino a dicembre scorso, quando è andato in pensione.

A coordinare le ricerche è stato il procuratore aggiunto, Paolo Guido, che ha partecipato personalmente alla perquisizione. Le forze dell’ordine hanno intanto trasferito Matteo Messina Denaro all’aeroporto di Pescara con un volo militare. L’ipotesi più accreditata, come anticipato dai quotidiani La Repubblica e il Centro, è che il boss finisca in carcere all’Aquila. Si tratta di una struttura di massima sicurezza che ha già ospitato personaggi di spicco, e nell’ospedale del capoluogo abruzzese c’è un importante centro oncologico.

Il tumore e le cure

Il boss di mafia sarebbe infatti malato di un tumore e quando i carabinieri lo hanno arrestato, al mattino del 16 gennaio, si trovava presso la clinica privata La Maddalena, a Palermo, per curarsi tramite chemioterapia. “Mi chiamo Matteo Messina Denaro” avrebbe dichiarato con fare spavaldo al carabiniere del Raggruppamento operativo speciale (Ros) che lo ha arrestato. In realtà, sentendosi braccato, stava cercando di allontanarsi. Ma inutilmente: lo hanno bloccato alle 8.20.

“La borghesia con Messina Denaro”

I pazienti, tenuti fuori dalla struttura per ore, si sono resi conto solo più tardi che il boss Matteo Messina Denaro si trovava lì ed era finito in manette. E hanno applaudito i carabinieri. Stessa scena fuori dalla caserma Dalla Chiesa, sede della Legione, dove nel pomeriggio del 16 gennaio il procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia, l’aggiunto Paolo Guido, il generale del Ros dei carabinieri, Pasquale Angelosanto, e il comandante palermitano, Lucio Arcidiacono, hanno tenuto una conferenza stampa.

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Il boss Matteo Messina Denaro, 60 anni, dopo l’arresto

Gli inquirenti hanno sottolineato come si sia trattato di un’indagine tradizionale. Nessun pentito, nessun anonimo. Si è arrivati a Messina Denaro grazie alla stessa strategia che portò all’arresto del boss Bernardo Provenzano. Prosciugare l’acqua attorno al latitante, disarticolando la rete dei favoreggiatori. Favoreggiatori anche eccellenti: “Una fetta della borghesia lo ha aiutato“, ha detto il procuratore de Lucia.

L’errore dei familiari

E i familiari del boss, stretti nella morsa degli investigatori, alla fine hanno commesso l’errore fatale. Parlando tra loro, pur sapendo di essere intercettati, hanno fatto cenno alle malattie del capomafia. L’inchiesta è partita da lì. E indagando sui dati della piattaforma del ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, si è riusciti a stilare una lista di pazienti sospetti. Un nome ha fatto saltare sulla sedia gli inquirenti: Andrea Bonafede, parente di un antico favoreggiatore del boss. Ma nel giorno in cui doveva trovarsi sotto ai ferri, hanno scoperto i magistrati, Bonafede era a casa sua a Campobello di Mazara. E allora il sospetto che il latitante usasse l’identità di un altro si è fatto forte. La prenotazione di una seduta di chemioterapia a nome di Bonafede ha fatto scattare il blitz.

I segreti di Messina Denaro

Le indagini non si sono fermate con l’arresto del boss latitante da trent’anni. Ora vanno avanti. In anni di processi e indagini alcuni pentiti hanno dichiarato che Messina Denaro avrebbe conservato il contenuto della cassaforte di Totò Riina svuotata dalla casa di via Bernini a Palermo.

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I carabinieri del Ros alla clinica di Palermo dove hanno catturato Matteo Messina Denaro. Foto Ansa Igor Petyx

All’interno vi sarebbero stati documenti segreti importantissimi, ma le forze dell’ordine non perquisirono il covo di Riina dopo l’arresto del boss. Matteo Messina Denaroha i documenti che sono stati portati via dal covo di via Bernini” disse il collaboratore di Giustizia Antonino Giuffré nel 2012 al processo Borsellino Quater. Il potere di ricatto di Messina Denaro sarebbe dunque molto alto. Di certo un elemento che gli ha consentito di vivere indisturbato per 30 anni di latitanza.

Il boss protetto dal consenso

Secondo Salvatore Baiardo, custode della latitanza dei boss Graviano (in carcere, che assieme a Messina Denaro rispondono degli attentati del 1993), la famigerata agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, sparita nel nulla, l’avrebbe U siccu. Di Baiardo, che fonti investigative e di procura non considerano attendibile, si è tornati a parlare in queste ore.

Quattro mesi ha rivelato a Massimo Giletti per Non è l’Arena, su la La7, che Matteo Messina Denaroavrebbe potuto presto essere arrestato, è malato, come simbolo nel trentennale della cattura di Totò Riina, un regalino…” Dichiarazioni inquietanti che sembrano riscontrate in pieno. A quanto sembra Messina Denaro ha vissuto indisturbato in Sicilia per trent’anni. Nella sua terra, a casa sua. Come tutti i grandi boss di mafia. “Un potere tenuto insieme dal consenso più che dalla paura“, sottolinea sulla Stampa Francesco La Licata.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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