A soli 4 giorni dalle elezioni amministrative di domenica 12 giugno, a Palermo le forze dell’ordine hanno arrestato un candidato consigliere comunale di Forza Italia. Si tratta di Pietro Polizzi. Su di lui gravano pesanti accuse di mafia.  

Terremoto a un passo dalle elezioni, dunque, in città e in particolare in Forza Italia. “Sono talmente sconcertata da non avere più la voglia di proseguire” ha dichiarato Adelaide Mazzarino, moglie di Eusebio Dalì, vicepresidente dell’Ast (Azienda siciliana trasporti). La donna si presentava agli elettori in ticket con il 52enne Polizzi. Se l’arrestato andrà a giudizio “ci costituiremo parte civile, l’errore di candidarlo è stato mio” ha sottolineato Gianfranco Miccichè, coordinatore di FI e presidente dell’Assemblea regionale siciliana.

Foto Ansa/Orietta Scardino

Una rapida indagine della magistratura ha portato a formulare nei confronti di Polizzi l’accusa di aver aderito a un patto politico-elettorale con uomini di mafia che furono vicinissimi al defunto boss Totò Riina. Secondo la procura di Palermo, Pietro Polizzi sarebbe stato in combutta con Agostino Sansone, proprio in vista delle imminenti elezioni comunali. Si tratta del fratello di Gaetano Sansone, proprietario del complesso di via Bernini in cui Riina passò gli ultimi mesi prima dell’arresto nel 1993.

Elezioni, l’ombra di Cosa Nostra

Il pericolo della mafia si allunga dunque sulle elezioni del 12 giugno nel capoluogo siciliano. E questo avviene dopo settimane di polemiche per il ruolo di presunti ‘ispiratori’ che nel Centrodestra avrebbero svolto Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri. Entrambi condannati per reati connessi alla mafia. Polizzi è un ex consigliere provinciale, eletto nel 2012 con l’Udc, nonché dipendente di Riscossione Sicilia, riporta online il Fatto Quotidiano. Nel 2017 si era candidato, senza successo, al consiglio comunale nella lista Uniti per Palermo che sosteneva il sindaco Leoluca Orlando.

Inchiesta a tappe forzate

Secondo il procuratore aggiunto Paolo Guido, che ha coordinato l’indagine, dalle intercettazioni ambientali emergerebbe con chiarezza il “patto elettorale” tra l’esponente di FI e Sansone, la cui famiglia gli inquirenti considerano egemone nel quartiere dell’Uditore. L’inchiesta – che ha portato all’arresto anche di un collaboratore di Sansone, Manlio Porretto – è stata chiusa in tempi record. L’incontro tra Polizzi e il costruttore durante il quale i due avrebbero stretto l’accordo in vista del voto di domenica prossima risalirebbe al 10 maggio. Sansone era sotto intercettazione e gli investigatori hanno ascoltato in diretta la promessa di appoggio alle prossime elezioni comunali, in cambio dell’assicurazione del sostegno da parte del politico.

Petro Polizzi e Adelaide Mazzarino. Quest’ultima ha abbandonato la competizione elettorale. Foto Facebook/Adelaide Mazzarino

“Se sono potente io lo siete voi”

Tra i dialoghi intercettati c’è uno di “rara capacitàdimostrativa del reato di scambio elettorale politico-mafioso, contestato agli indagati, scrive la procura di Palermo. I due si trovano nel comitato per le elezioni di Polizzi. “Se sono potente io, siete potenti anche voi, dice sussurrando, due volte, Polizzi a Sansone. “Si tratta di una asserzione che non merita commento – scrive il gip nella misura cautelare – in quanto Polizzi intendeva formulare espressamente una proposta la cui gravità è indubbia”.

Indagini rapidissime

In meno di due settimane i pm Dario Scaletta e Giovanni Antoci, coordinati da Paolo Guido, hanno chiesto la misura cautelare e il gip ha emesso il provvedimento in 4 giorni. Prima delle elezioni, dunque, il blitz gli investigatori, che hanno perquisito l’abitazione e gli uffici del costruttore Sansone. La perquisizione ha riguardato alcuni immobili che si trovano nel complesso residenziale di via Bernini. Ovvero il covo dal quale, il 15 gennaio del 1993, Totò Riina uscì prima di finire in manette. E che è stato al centro di misteri e di un lungo processo agli ex carabinieri del Ros che catturarono il boss dei corleonesi. I militari, imputati di favoreggiamento, furono poi assolti.

Il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè. Foto Ansa