La fascinazione del crimine: Enrico De Pedis
La storia vera e il successo tra tv e cinema del boss della Magliana
«Dio perdona. La Banda no». Infatti molti affiliati dell’organizzazione criminale legata al quartiere di Roma della Magliana è finita sotto i colpi del fuoco amico. Una vera e propria ‘mattanza interna’ raccontata sul grande e piccolo schermo. Non una lotta per la supremazia come ci hanno raccontato inchieste, film e fiction ad esempio sulla storia della Mafia, della Camorra e non solo. I capi indiscussi all’inizio nella Capitale sono tre – Giuseppucci (El Negro – il Libanese), De Pedis (Renatino – il Dandi) e Abbatino (Crispino – il Freddo). Quest’ultimo è l’unico ancora vivo, sotto protezione fino a poco tempo fa, protagonista di fughe rocambolesche. La fine degli altri due, come di tanti comprimari all’interno dell’organizzazione, è stata il risultato della vendetta. Lo ‘sgarro’ al violento codice d’onore – e mutualistico – interno alla famigerata “banda che non si scioglie(va) per un paio di vaffa***ulo”.
E’ indubbio che la fama e di conseguenza la fascinazione che avvolge la storia della Banda della Magliana sia imputabile alle trasposizioni. Cinematografica la prima – con la regia di Michele Placido nel 2005 – e seriale quella diretta da Stefano Sollima tra il 2008 e il 2009. Le due pregiatissime versioni di Romanzo Criminale, il bel libro del 2002 di Giancarlo De Cataldo, raccontano più o meno fedelmente alla trama, e ai fatti, la genesi del fenomeno criminale romano.
I fatti ripercorrono un pezzo di storia patria tra la fine degli Anni ’70 e il 1990. Tra il famigerato rapimento del Barone Rosellini (nella realtà il duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere) e il 2 febbraio del 1990. Il giorno in cui muore Enrico De Pedis. In fondo lui è stato la figura cardine, per la presenza nella Capitale dall’inizio di questo racconto criminale. Concetto esploso magistralmente nella seconda stagione della serie, seppur con alcune licenze. E non è un caso ad esempio che esistano oggi tour che ripercorrono i fatti di sangue nella storia di Roma da Romolo all’omicidio di Renatino.
Dandi-Renatino: la lunga storia da boss in una “città che non vuole padroni”
Alcune vicende è più giusto narrativamente raccontarle dalla fine. O almeno, è meglio così con Enrico De Pedis. Renatino che è noto per la cura maniacale della propria immagine tra vestiti e look, si è meritato nella realtà l’appellativo di “bambolotto”. In entrambe le trasposizioni diviene “il Dandi“, il soprannome del personaggio di Mario De Angelis. L’esecuzione è in qualche modo “annunciata”: il suo peso all’interno dell’organizzazione non è più quello del tempo della “Roma che non vuole padroni“.
Ha avuto più fiuto per gli affari degli altri, più relazioni degli altri (vedi i legami con le altre realtà criminali ben più forti della Banda della Magliana). Ed è tanto più facoltoso. Probabilmente il più lucido, non essendo mai caduto nella dipendenza da quella droga che li aveva arricchiti tutti, e resi schiavi, alcuni. I proventi di queste remunerative scelte finanziario-criminali non ritiene siano da condividere. Parliamo di una vera e propria diversificazione del business, anche non violenta, ma sempre borderline, tra edilizia e gioco d’azzardo. Non partecipa più alla ‘solidaristica mutua criminale’ della “stecca para per tutti”.
Il 2 febbraio 1990 in Via del Pellegrino
Il primo tentativo di vendetta risale nella realtà al 1989. L’attacco arriva dalla fazione/batteria dei maglianesi con Edoardo Toscano, che appena scarcerato vuole regolare i conti. De Pedis è più astuto e lo fa freddare prima che riesca nel suo intento. Marcello Colafigli evade con l’intento di vendicarsi e crea l’occasione per l’imboscata del 2 febbraio 1990 a via del Pellegrino. Siamo in zona Campo de’ Fiori, nel cuore del centro di Roma; Renatino è in moto e all’altezza del civico 65 si avvicina una potente motocicletta. A bordo due killer che gli sparano un solo colpo, alle spalle, finendolo all’istante, davanti ai passanti. Non sono mai stati identificati con sicurezza nel sottobosco della banda stessa.
Tutti i volti del Dandi
Ci sono diversi attori italiani che hanno prestato il volto al famigerato e noto boss trasteverino. Nelle versioni film e serie di Romanzo Criminale, prima tocca a Claudio Santamaria, scelto in un cast stellare da Placido, che regala un’interpretazione calata e assai convincente. Poi Sollima punta su un cast di esordienti, e per la parte prevale Alessandro Roja. Ancora un romano che propone una recitazione sempre più convincente, soprattutto nella seconda stagione, dove è innegabile protagonista.
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Il fascino di Renatino ispira il Gaetano Amato in I banchieri di Dio – Il caso Calvi; Marcello Jacobis interpretato da Mario Contu nei Fatti della banda della Magliana del 2004. In ordine di tempo nel 2016 è Riccardo Scamarcio in La verità sta in cielo basato sul mistero di Emanuela Orlandi ad impersonarlo; infine tocca ad Edoardo Leo nella commedia Non ci resta che il crimine del 2019.
Perché con De Pedis finisce la Banda della Magliana?
Renato De Pedis nasce naturalmente a Roma il 15 maggio 1954 e cresce nello stesso quartiere in cui è nato: il cuore di Trastevere. La sua è un’autentica scalata dal basso negli ambienti criminali: scippatore di quartiere, rapinatore aggiunto in una batteria dell’Alberone (altra zona periferica della Capitale n.d.r.). Fino a che non riesce a crearne una tutta sua di piccola formazione. Che poi è diventata una colonna portante della Banda della Magliana. Parliamo di quella testaccina, con Raffaele Pernasetti (“er palletta”) e Danilo Abbruciati. L’assassinio agli inizi degli Anni ’80 di Giuseppucci e Abbruciati gli aprono la strada del comando. Si fa chiamare il Presidente, come fosse una normale azienda, che fa soldi e tanti anche in ambito finanziario, e dura per un decennio intero. Tanto che i funerali sono di tutto rispetto: celebrati nella Basilica di San Lorenzo in Lucina, vicinissima al Parlamento. La salma a fine cerimonia si avvia verso il Cimitero Monumentale del Verano sempre a Roma. O almeno così tutti sanno all’inizio.
La sepoltura più inopportuna favorita dall’essere Renatino
Quando ottieni tutto e arrivi al vertice spesso accadono ‘deviazioni’ inattese in cerca di motivazioni o il semplice desiderio di affrancarsi dai suoi trascorsi malavitosi. Ripulire la reputazione? Ha a disposizione ingenti risorse finanziarie che lo portano ad investire in molti ambiti e un pallino per il bello che dalla moda passa all’arte, al costosissimo antiquariato.
Come Presidente vuole essere seppellito. Due mesi dopo la morte – è il 24 aprile secondo i documenti – nel silenzio più assoluto la salma viene traslata all’interno della cripta della Basilica di Sant’Apollinare. Sempre nel cuore di Roma a due passi dal Senato della Repubblica, per esaudire un suo preciso desiderio. Comanda come se fosse vivo. E’ un benefattore tale da ottenere questa importante deroga al diritto canonico direttamente dal Vicariato di Roma. La notizia emerge la prima volta sette anni dopo con lo scoop pubblicato il 9 luglio del 1997 sul Messaggero da Antonella Stocco.
La verità (che forse non sapremo mai) sul caso Orlandi: il ruolo della Banda e di De Pedis
La sepoltura privilegiata stona parecchio e ha innescato inchieste giudiziarie e giornalistiche per la posizione stessa della Basilica di Sant’Apollinare e la sua presunta e doppia – di De Pedis e dei vertici ecclesiastici – connessione con la scomparsa di Emanuela Orlandi. La giovanissima cittadina vaticana, che frequentava la scuola di musica adiacente alla basilica, è scomparsa nel nulla il 22 giugno del 1983 nel far rientro a casa, distante una manciata di km. Improvvise molte anni dopo la morte di De Pedis arrivano le testimonianze che collegano, senza la prova provata, Renatino al caso. Celeberrima la telefonata del luglio del 2005 al programma televisivo Chi l’ha visto?: «Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso, andate a vedere chi è sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare, e del favore che Renatino fece al cardinal Poletti, all’epoca, e chiedete al barista di via Montebello, che pure la figlia stava con lei…».
Poi c’è stato un crescendo di ‘pentiti‘ riconducibili direttamente alla Banda della Magliana stessa. Per primo è Antonio Mancini, detto Accattone, che riporta le cosiddette voci di “Radiocarcere“; per ultimo da collaboratore di giustizia sotto copertura, Maurizio Abbatino, che nel 2009, rivela confidenze indirette di altri membri minori a seguito della vera e propria bomba dell’anno prima. Sono le dichiarazioni – non riscontrate e spesso confutate – di Sabrina Minardi, amante storica di Renatino. La donna, con un passato di dipendenza che ne ha provato corpo e mente – racconta come sia stato De Pedis ad eseguire il sequestro per ordine dell’allora capo dell’Istituto per le Opere di Religione (IOR), monsignor Paul Marcinkus. Spiega poi come la ragazza sia stata assassinata sei o sette mesi dopo e il suo cadavere occultato all’interno di una betoniera nei pressi di Torvajanica. Con i resti di Domenico Nicitra, figlio undicenne di un affiliato; ma qui temporalmente si contraddice. E anche questa volta tutto finisce in un nulla di fatto. Nessuna verità provata.
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Che ne è del corpo di De Pedis?
Nel 2012, al termine delle lunghe indagini sulla sepoltura, la salma viene prima trasferita al Cimitero di Prima Porta. Cremata, le ceneri vengono disperse in mare. Le indagini esclusero la presenza del cadavere della Orlandi, insieme al boss, in circa 200 urne funerarie contenenti resti ossei risalenti a due – tre secoli fa. Una cosa che forse poteva riuscire solo a De Pedis. E che di sicuro ne fa comprendere il potere descritto perfettamente da chi lo ha ritratto nel suo fascino criminale per primo, Giancarlo De Cataldo: “il più arrogante di tutti. Di un’arroganza sottile: studiata e consapevole, ma allo stesso tempo istintiva. Sempre perfettamente rasato, con abiti di buon taglio…. Tagliente solo all’occorrenza: ma se gliene davi l’occasione, lingua lunga e battuta pronta. Faceva sforzi inauditi per comportarsi da signore”.
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