Musica

Essere adolescenti all’epoca di ‘Crazy in love’ di Beyoncé

Quando nel 2003 l'esordio da solista di Beyoncé Knowles cambiò per sempre le regole della black music contemporanea

Ricordo come fosse ieri il giorno in cui vidi per la prima volta il videoclip di Crazy in Love. Pensai, semplicemente, che qualcosa stava cambiando per sempre. Era il 2003, Beyoncé chiudeva il capitolo mitico con le Destiny’s Child per aprire quello rischioso da solista.
Parlando del suo disco d’esordio Dangerously in Love, dichiarò ad MTV: “Volevo un album con cui tutti si potessero identificare e che avrebbero voluto ascoltare finché sarei rimasta in vita e anche oltre”. Bingo. Il primo singolo estratto era già il manifesto delle radici più profonde della Knowles: una hit perfetta tra l’hip hop, il funk, la dance pop e il rap, da un inconfondibile gusto R&B. Il tutto introdotto da una sequenza di fiati pescata direttamente dagli anni Settanta, che avrebbe fatto storia. Con Crazy in Love, Beyoncé stava per diventare la regina indiscussa.

Crazy in Love: il mito in 4 minuti

Era accanto al suo flirt dell’epoca nonché futuro marito, e falcava lo schermo con una catwalk infinita. Ma veramente. ‘Catwalkava’ dall’inizio alla fine: in slow motion, per strada, sui tetti della città, costeggiando i muri del ghetto, di fronte a una macchina in fiamme. Noi adolescenti degli anni Novanta, invece, all’epoca di Crazy in Love combattevamo con una delle mode peggiori degli ultimi sessant’anni, tra capelli forzatamente piastrati, felpe indecenti e jeans strappati a vita bassa, bassissima. Essere sexy era quasi impossibile. Essere femminili era una sfida confusa.

Poi un bel giorno succede che Beyoncé, falcando lo schermo per tre minuti di fila, appare di spalle accanto a un ventilatore mastodontico. È l’ultimo dei 6 cambi look all’interno del video, dopo aver sfoggiato, tra gli altri, uno stile country minimal, bomberino streetwear e pelliccia di piume. Per il rush finale avanza verso di noi oliata e dorata come la nuova imperatrice della black music e della pop culture, fissa l’obiettivo coperta appena da un abitino a blocchi geometrici arancione e rosa shocking. L’abitino in questione è un Versace in seta, ed è una scelta iconica: vediamo solo lei.

Gli ultimi 45 secondi di coreografia diventano leggendari. Tra panoramiche a schiaffo, primi piani e ralenti iper-erotici, Beyoncé fissa nell’immaginario mondiale due concetti che che definiranno l’identità della sua intera videografia: gente, per i prossimi vent’anni proverete ad imitare questi passi senza riuscirci mai davvero. Ma soprattutto: non esisterà più ventilatore al di fuori di Beyoncé Knowles.

Inizia l’era Beyoncé

In una botta sola Queen B si infila nel tessuto universale delle discoteche, dei party, della videodance che inizia a spopolare nelle sale di danza, e apre nuovi scenari a chi non poteva eccellere sotto le regole della classica, del modern e del jazz. Sulle piste da ballo Crazy in Love diventa uno di quei pezzi immortali che ti fanno rialzare dal divanetto del privée dove hai gettato la spugna alle 2 di notte, mollando la sigaretta dopo tre tiri per correre a ballarla. È una hit irresistibile. È il primo, clamoroso successo di Beyoncé da solista. Ma è soprattutto la nuova frontiera delle icone pop femminili, che sdoganerà il twerk, rilancerà il Vogueing e darà lustro alla Heels dance. La rivincita dei fondoschiena esagerati su quelli striminziti, degli uomini sui tacchi 12 e di un’artista donna che sarà tra le più premiate e pagate della storia.

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