NewsPolitica

Draghi: “Finale Euro 2020? Non a Londra, troppi contagi”. Secca replica inglese: “A Wembley”

La Gran Bretagna stoppa il premier dopo le sue parole al vertice di Berlino sui nuovi casi di Covid

Polemica a sorpresa al vertice di Berlino, dove il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha incontrato la cancelliera Angela Merkel. Non fra i due leader, pienamente in sintonia su molti dei temi politici e istituzionali affrontati, bensì su un tema solo apparentemente secondario: Euro 2020, i campionati europei di calcio.

L’affermazione del premier

Tra le domande della stampa dopo il vertice, infatti, ne è arrivata una indirizzata a Draghi sulla finale degli Europei prevista l’11 luglio allo stadio londinese di Wembley. Questione sulla quale il premier ha risposto in modo diretto: “Mi adopererò perché la finale” non si disputi, come previsto, a Londra. Ovvero “in un Paese dove i contagi (di Covid-19, ndr.) stanno crescendo rapidamente”. Nella domanda, in particolare, il cronista aveva chiesto a Draghi se intendesse spostare la finale da Wembley allo stadio Olimpico di Roma.

La replica britannica

Un’affermazione che ha innervosito il governo britannico. Da oltremanica è arrivata, a stretto giro, la risposta del ministro della Salute Matt Hancock (a sinistra nella foto). “La finale degli Europei si svolgerà a Wembley” ha dichiarato seccamente, rispondendo a una domanda di Sky News sulle dichiarazioni di Draghi. Insomma – è il concetto dell’esecutivo guidato da Boris Johnson – il Regno Unito non intende cedere su questo punto. E non c’è Covid che tenga. “Sono stato venerdì (18 giugno, ndr.) a Wembley, è stato stupendo sentire di nuovo la folla fare il tifo” ha sottolineato Hancock. “Abbiamo una grandissima location, spero che Inghilterra, Scozia e Galles vadano avanti”, ha concluso.

L’incognita della variante Delta

Il pomo della discordia è il diffondersi della nuova variante di Coronavirus. La Gran Bretagna sta lottando contro quella denominata Delta, individuata per la prima volta in India lo scorso anno. Una variante del Covid 19 che sta diventando dominante nel Regno Unito, ma che inizia a diffondersi in tutta Europa. In Italia i contagi relativi alla variante Delta sono stimati dal 7 al 26% di quelli totali. Sia oltremanica che nel nostro Paese i nuovi casi quotidiani, così come le vittime che purtroppo ancora ogni giorno si registrano, sono molto inferiori a quelli di qualche settimana fa. Ma la variante Delta resta un fattore di forte preoccupazione, proprio mentre si va verso una riapertura complessiva delle attività, un pressoché totale allentamento delle restrizioni. E da noi si attende l’ufficializzazione dello stop all’obbligo di mascherine, almeno all’aperto, dal mese di luglio.

UK, aperture rinviate

Delta è più contagiosa, con sintomi come mal di testa e naso che cola, simili al raffreddore. Negli ultimi giorni ha fatto risalire il numero dei contagi in Gran Bretagna. Da ieri, lunedì 21 giugno, il Regno Unito avrebbe dovuto riaprire senza più restrizioni dopo un lungo semi lockdown. Senza più mascherine, distanziamento sociale e il diktat di lavorare da casa. Tutto invece è rimandato al 19 luglio. Anche in Germania c’è preoccupazione. La stessa cancelliera Merkel, nel corso del vertice con Draghi, ha affermato che “siamo esposti a nuove varianti” del coronavirus. E “abbiamo visto quanto velocemente possa succedere: anche in Portogallo vediamo che crescono”. Di qui la polemica innescata dalle successive affermazioni di Mario Draghi sulla finale di Euro 2020 a Londra “in un Paese dove i contagi stano crescendo rapidamente”. E pensare che Draghi e Boris Johnson avevano avuto incontri cordiali al G7 in Cornovaglia, solo pochi giorni fa. Ma si sa, la politica e lo sport si intrecciano spesso. Non sempre pacificamente.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

Pulsante per tornare all'inizio