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Crisi di governo, l’incubo dell’aumento Iva: ecco cosa rischiamo

Cosa succederà alle tasse, già alte, che gli italiani devono pagare ogni anno all’erario se in autunno non ci sarà un governo solido dopo la crisi che è in corso? Cominciano a chiederselo in tanti. Sì, perché la prospettiva di non avere un nuovo Esecutivo di legislatura, sostenuto cioè da forze politiche determinate e pronte a varare misure severe, potrebbe non evitare l’aumento dell’Iva.

Si tratta di un qualcosa che è già previsto sulla carta poiché scatta in automatico se non si pongono in atto misure draconiane. Per evitare che l’Iva aumenti sono necessari allo Stato 23,1 miliardi solo per il 2020. E questo se non senza considerare l’ulteriore rincaro già previsto per il 2021.

In assenza di contromisure adeguate – come gli aumenti di altre imposte, tagli di spesa o incrementi del deficit – dal 1 gennaio del prossimo anno – cioè fra poco più di 4 mesi – l’Iva balzerà dal 22 al 25,2%. Quella ridotta salirà dal 10 al 13%.

Secondo una proiezione della Confcommercio, l’aumento causerà l’anno prossimo una contrazione dei consumi stimata tra gli 11 e i 18 miliardi di euro. Vale a dire tra l’1,1 e l’1,8% della spesa complessiva. Con un impatto negativo sul Pil di circa mezzo punto percentuale.

È l’effetto delle cosiddette “clausole di salvaguardia” alle quali i governi nel corso del tempo hanno fatto ricorso. Le clausole di salvaguardia prevedono l’aumento automatico di Iva e accise se non si raggiungono determinati obiettivi di bilancio.

Le introdusse per la prima volta il governo Berlusconi nella forma di tagli lineari di detrazioni e deduzioni fiscali. Successivamente le si sono più volte reintrodotte e modificate. Il governo Monti riuscì a disinnescare buona parte della clausola (per 13,4 miliardi), ma non la previsione di un aumento dell’Iva, a partire dal primo luglio 2013.

Il governo Letta posticipò di qualche mese e toccò a Renzi. Grazie alla flessibilità ottenuta in sede europea, l’esecutivo sterilizzò le clausole per il 2016 e ridusse quelle degli anni a venire. Gentiloni nella legge di bilancio 2018 spese 14,9 miliardi per disinnescarle. Per il 2019 la clausola è stata sterilizzata dall’esecutivo Conte totalmente in deficit per un totale di 12,5 miliardi.

Photo credits: Twitter

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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