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11 agosto 1966, quando John Lennon sfidò la Storia

Nel 1966 la band inglese fondata a Liverpool era nel pieno della sua popolarità. 6 anni di carriera alle spalle e appena altri 4 di fronte prima di dividersi, senza ancora saperlo, nel 1970.

Dopo qualche fiasco, dopo il primo vero contratto discografico e l’entrata ufficiale di Ringo Starr nel gruppo, dopo l’incredibile successo di classifica con l’album Please Please Me e l’enorme consenso ottenuto con i brani firmati Lennon-McCartney, nel 1963 I Beatles esplosero conquistando quella popolarità che li avrebbe consegnati alla Storia. Ma che, probabilmente, li stava consegnando anche ad un destino più tragico.

I compositori inglesi più straordinari del 1963 sono, a tutti gli effetti, John Lennon e Paul McCartney” scriveva William Mann sul Times proprio in quell’anno, a testimonianza del consenso unanime e infervorato da parte della critica. “Le settime maggiori e le none si integrano così bene nelle loro canzoni da far pensare che armonia e melodia nascano insieme”.

La “Beatlemania”: un fenomeno senza precedenti

“Beatlemania” non è un neologismo frivolo e, al contrario, il bisogno di circoscriverlo in un termine creato per l’occasione, è da ricercare nella sua imponenza sociologica e antropologica. La Beatlemania è stata infatti un fenomeno culturale degli anni Sessanta che non ha registrato altri casi paragonabili nella storia. Un’adorazione fanatica e spesso isterica, caratterizzata da reazioni e comportamenti precisi da parte dei fan.

Il fanclub impazzò nel corso del 1963, anche grazie alle frequenti apparizioni televisive della band, toccando in modo trasversale qualsiasi fascia di età, sesso e cultura. Come un vero evento sociologico – o quasi come una patologia, verrebbe da notare – la Beatlemania seguiva un iter preciso: ossessione per la band e per i suoi componenti, emulazione disperata, urla, crisi isteriche, svenimenti, pianti, episodi di affollamento di massa non arginabili dalle forze dell’ordine.

Se si volessero trovare i motori principali di un caso di fanatismo così sensazionalistico, non si potrebbe certo ignorare l’immagine della band. Il look rivoluzionario e spontaneamente iconico, l’aplomb e le dichiarazioni pubbliche, unite ad una politica dell’amore e ad un fascinoso sodalizio con le droghe, sono state un magnete caduto a pennello su una Gran Bretagna, ma soprattutto su un’America, che non sopportava più il peso della noia e di un’identità sociale debole, intimidita dal clima post-bellico.

I mass-media non faticarono ad individuare nell’immagine di quei quattro ragazzi in apparenza sgangherati – e ben lontani dall’essere dei sex symbol – tutto il potenziale per una vincente operazione di marketing, tutt’ora analizzata da alcune branche della comunicazione di massa.

Il merchandising creato attorno ai Beatles rimane un affascinante oggetto di studio e di stupore: milioni di giovani e di fan iniziarono non solo ad imitare pettinatura, look e abbigliamento dei loro beniamini, ma diedero vita ad una vera “caccia all’uomo”: marche di sigarette, abitudini, oggettistica, pietanze e vizi da emulare oltre i confini del feticismo. Un’identità nazionale offerta su un piatto d’argento e beat rock.

John Lennon: “I Beatles sono più popolari di Gesù Cristo”

È in questo contesto che nel 1966 John Lennon si lasciò sfuggire una dichiarazione mai digerita dall’opinione pubblica. Il frontman della band tuonò forte, durante un’intervista con il quotidiano inglese London Evening Standard:

“Il cristianesimo è destinato a scomparire. Si consumerà e poi svanirà. Chi vivrà vedrà se ho ragione o no. I Beatles sono più popolari di Gesù Cristo adesso. Non so chi morirà per primo. Il Rock and Roll o il Cristianesimo. Gesù era nel giusto, ma i suoi discepoli non lo erano altrettanto.”

Non fu di certo la prima affermazione scandalistica lanciata dalla band, ma senz’altro la più scomoda. In occasione di uno show dei Beatles, anche George Harrison arrivò ad affermare che “persino i criminali si erano presi dieci minuti di pausa” dalla loro attività delinquente.

Ad accrescere nella band stessa una percezione d’onnipotenza, non fu solo l’uso dichiarato di sostanze stupefacenti. La fama ottenuta anche fuori dal loro controllo, trovò nell’esasperazione mediatica da parte di stampa, radio e televisione, un pericoloso alleato.

Help! I Beatles vanno a fuoco

Se la provocazione di Lennon venne inizialmente trascurata dalla Gran Bretagna, ci pensarono gli Stati Uniti a consegnarla alla gogna pubblicaDatebook, una rivista americana per adolescenti, ripubblicò la dichiarazione del leader dei Beatles, schiaffandola su una copertina che quasi invitava al massacro: “I dieci adulti che amate o detestate di più”.

Il pezzo gettò subito Lennon nelle braccia di una polemica altrettanto fanatica. Ecco allora i primi episodi di protesta durante i concerti, poi le manifestazioni di massa, le minacce di morte e le ondate di dissidenti religiosi pronti a bruciare gli album della band con degli immensi e memorabili falò.

11 agosto 1966, quando John Lennon chiese scusa al mondo e a Gesù Cristo

Era l’11 agosto del 1966. Dopo vari tentativi di scuse da parte della band e dopo una benevola assoluzione arrivata perfino dal Vaticano, John Lennon fu costretto dal manager del gruppo, Brian Epstein, a ridiscutere la sua dichiarazione in grande stile. La band organizzò una conferenza stampa a Chicago per chiarire la polemica, in occasione del tour estivo americano che rischiava di trasformarsi sempre più in un incubo.

“Non sono contro Dio, contro Cristo o contro la religione. Non avevo alcuna intenzione di criticarla. Non ho affatto detto che noi eravamo migliori o più famosi… e non ho paragonato noi a Gesù Cristo come persona, o a Dio come entità, o qualsiasi altra cosa esso sia. […] Ho detto che avevamo più influenza sui ragazzi di qualsiasi altra cosa, compreso Gesù. […] Se avessi detto che la televisione era più popolare di Gesù probabilmente l’avrei passata liscia.”

Le scuse servirono a poco. I risvolti inquietanti di una popolarità ormai incontenibile, trascinarono la band in un vortice di paranoia e insicurezza. Le azioni dimostrative da parte del Ku Klux Klan, il clima di ostilità e la cancellazione di alcune date del tour, il petardo lanciato sul palco durante un live a Memphis, le minacce di morte subite a Tokyo e nelle Filippine, furono tutti indici allarmanti di una fama ingestibile.

Il terrore di essere bersagli di un attentato li accompagnò per molto tempo e sembrò inseguire soprattutto John Lennon, proprio a causa di quella famosa intervista in cui parlò di Cristo senza riuscire a farsi comprendere dal pubblico. Il paradosso di un errore di comunicazione come quello si risolveva proprio nell’inquietante eco che ne scaturì, quasi a sancire la verità di un’affermazione tanto folle. Alla fine Epstein decise di concludere il tour anticipatamente e senza risvolti tragici, mentre la polemica andò scemando con il tempo.

L’8 dicembre 1980 però, a distanza di quattordici anni da quell’evento e al suono di un macabro “Hey, Mr Lennon”, John sarebbe stato assassinato per mano di Mark David Chapman. Tra le motivazioni psicotiche che avrebbero spinto Chapman a compiere l’omicidio, spuntarono anche diversi attacchi a certe scomode idee di Lennon su Dio e sul Cristianesimo. Molte giustificazioni oggi risultano forzate e molte altre sono state rinnegate nel corso degli anni. Quasi tutte però sembrano annullarsi di fronte ad una semplice, impressionante affermazione: “Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo”.

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