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Bija, trafficante di esseri umani, ucciso a Tripoli: aveva stretti legami con l’Italia

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Sabato 1 settembre un commando ha ucciso a Tripoli, in Libia, Abdulrahman Milad, meglio conosciuto come Bija. Si trattava di uno dei più famigerati trafficanti di esseri umani, di soli 35 anni, che, come ha denunciato con numerose inchieste su Avvenire il cronista Nello Scavo, ha giocato un ruolo da protagonista, quasi fosse un emissario dello Stato libico, ai tavoli del Governo italiano per la concessione alla Libia di “aiuti” a fermare le partenze dei migranti. 

Eppure Bija era noto per essere il leader di una rete di criminali che operava lungo le rotte migratorie del Mediterraneo. L’ONU lo aveva sanzionato e l’Interpol lo cercava da anni. A lungo al centro di inchieste internazionali per il suo ruolo in crimini contro l’umanità, inclusi abusi e sfruttamenti nei confronti di migranti e rifugiati provenienti dall’Africa nera, dall’Asia e dal Medio Oriente. Ma anche per traffico di droga e di armi. La magistratura italiana lo stava ancora perseguendo. La politica, invece, ha fatto orecchie da mercante. E lo ha utilizzato come “guardacoste” per ricacciare indietro i migranti che dalle sponde libiche cercano di giungere in Italia.

Bija a bordo di motovedette donate dall’Italia. Foto X @nelloscavo

Bija e il caos libico

Bija, originario di Zawiya, una città situata a ovest di Tripoli, è stato a capo di una milizia terroristica locale che controllava una vasta porzione della costa libica. Da dopo la morte del dittatore Gheddafi nel 2011 la Libia è un Paese nel caos, diviso in fazioni para-mafiose che combattono fra di loro, spartendosi il territorio. In un contesto come questo, grazie alla sua posizione strategica e alla brutalità dei suoi metodi, Bija era diventato uno dei principali malfattori del traffico di esseri umani dalle coste del Nordafrica.

In buona sostanza, stando alle risultanze di inchieste giornalistiche, prima ancora che della magistratura, Bija era un criminale molto pericoloso che ha sfruttato migliaia di persone disperate dirette verso l’Europa. Il suo potere non si limitava solo al traffico umano: aveva stretti legami con altre organizzazioni criminali che operavano nella regione, tra cui trafficanti di arminarcotici e petrolio.

Marco Minniti (a sinistra) con Paolo Gentiloni nel 2018. Ministri fu ministro dell’Interno con Gentiloni. Foto Ansa/Riccardo Antimiani

I legami con il Governo di Roma

La figura di Bija è stata al centro di molte polemiche anche in Italia, dopo che nel 2017 è emerso che aveva partecipato a incontri con rappresentanti del Governo italiano, allora guidato dall’attuale Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. Questi incontri, che avvennero in un contesto di cooperazione bilaterale per contrastare il traffico di migranti, sollevarono forti critiche e preoccupazioni. Com’è stato possibile per l’Italia collaborare con un personaggio del genere? Da parte sua il Governo italiano ha sempre sostenuto di non essere a conoscenza dei crimini di Bija al momento degli incontri.

L’omicidio di Bija: messaggio all’Italia?

Secondo le prime ricostruzioni, Bija è stato ucciso a colpi di arma da fuoco durante uno scontro avvenuto nella periferia di Tripoli. Le circostanze dell’omicidio non sono ancora del tutto chiare, ma sembra che a compiere l’attacco siano stati uomini di una milizia rivale, probabilmente nell’ambito di una lotta di potere tra le varie fazioni armate che dominano la Libia. “Bija è stato ucciso. Una buona notizia solo per chi temeva che un giorno, magari davanti a un tribunale internazionale, potesse vuotare il sacco” ha commentato su X il giornalista di Avvenire Nello Scavo. “A febbraio avevamo rivelato che da tempo era indagato in Italia. La giustizia non ha fatto in tempo“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore. Segui Domenico su Facebook Segui Domenico su Linkedin

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