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Brexit, un disastro ambientale per il Regno Unito. E la plastica europea finisce in Turchia

Polemiche in Inghilterra dove l'addio alla Ue continua a far pagare un prezzo alto ai cittadini britannici sotto vari aspetti

Si sono da poco compiuti 4 anni dall’avvio della Brexit, la definitiva cesura che la Gran Bretagna ha operato nei confronti dei legami commerciali con l’Unione europea, e oltremanica il nervosismo continua a salire. Più passa il tempo e più appare essere stata una scelta politica ed economica poco lungimirante quella del “leave”, sia pure a seguito di un referendum. Un abbandono della Ue poco intelligente anche sotto il profilo, meno considerato, dello smaltimento e del riciclaggio dei rifiuti. 

La Gran Bretagna, infatti, secondo le accuse mosse dal quotidiano The Guardian, sta diventando una discarica di sostanze chimiche tossiche. Come riporta Agi, è l’editorialista George Monbiot a lanciare queste accuse. Per lui la politica ambientale di Londra si traduce in un “fallimento“. Con “buona pace degli imbroglioni e delle scorciatoie che hanno fatto pressioni affinché i britannici scegliessero il Leave“.

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Foto Ansa/Epa Clemens Bilan

Il falso mito della Green Brexit

Sul piano ambientale l’errore primario, sottolinea l’editorialista, è stata la decisione presa dal Governo a favore di un sistema normativo separato per i prodotti chimici. Invece gli standard comuni avrebbero facilitato gli scambi con il resto d’Europa anche dopo la Brexit. Totalmente disattese poi le ripetute promesse di una Green Brexit da parte di Downing Street, in particolare quelle fatte dall’allora segretario all’Ambiente Michael Gove. Aveva assicurato che “non solo non ci sarà alcun abbandono dei principi ambientali che abbiamo adottato ai nostri tempi nell’Ue, ma anzi puntiamo a rafforzare le misure di tutela ambientale“.

Nei fatti è successo proprio il contrario, denuncia l’editoriale del Guardian, sottolineando che il “nostro sistema di regolamentazione, orgogliosamente sovrano, è immediatamente precipitato nel caos più totale“. L’Health and Safety Executive (HSE) ha impiegato fino a febbraio scorso per pubblicare il suo programma di lavoro sulla regolamentazione delle sostanze chimiche per l’anno finanziario 2023-2024. La versione ombra del sistema Ue, chiamata UK Reach, è afflitta da “sotto finanziamenti, carenza di personale, crisi di competenze. E un carico di lavoro impossibile. Mi sembra il tipo di fallimento che, fin dalla progettazione, affligge gran parte della regolamentazione ambientale nel Regno Unito“, argomenta Monbiot, l’editorialista del Guardian.

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Cassonetti condominiali in Inghilterra a Portsea. Foto X @ComservUK

Brexit e azioni legali in corso

Un gruppo di cittadini – chiamato Fighting Dirty – si è costituito per portare il Governo in tribunale per i suoi molteplici fallimenti nel proteggere le persone e gli ecosistemi dalle sostanze chimiche pericolose. Le azioni legali avviate, difficili e costose, hanno ottenuto il primo successo: il via libera per un’udienza all’Alta Corte. “L’ultima risorsa, quando gli standard normativi e le agenzie che dovrebbero sostenerci sono quasi crollati“, conclude Monbiot. Egli stesso è un esponente del Fighting Dirty, e protagonista di una forte campagna ambientalista.

I paesi-discarica dell’Unione europea

A fronte di questo occorre registrare come da anni la plastica buttata via nel Regno Unito vada a finire in Turchia. Dove viene almeno in parte bruciata o abbandonata illegalmente nelle strade invece che essere riciclata. Lo rivelò un’indagine di Greenpeace del 2021, successiva dunque, alla Brexit, ripresa dalla Bbc. L’organizzazione ecologista afferma che nel 2020 il 40% dei rifiuti di plastica britannici, pari a 210mila tonnellate, sono stati spediti in Turchia. E la Turchia è sempre più spesso la discarica anche della plastica generata dall’Unione europea.

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Un dipendente di una struttura per i rifiuti del comune di Istanbul, in Turchia, cammina in una discarica. Foto Ansa/Epa Sedat Suna

Turchia terra dei fuochi d’Europa

Sempre nel 2020 i 27 Stati membri hanno inviato in Turchia 20 volte la quantità di rifiuti in plastica che avevano inviato nel 2016. Ovviamente ci sono aziende turche che ricevono una remunerazione per accogliere i rifiuti di plastica dell’Europa. Ma il peggio è che, secondo il rapporto di Greenpeace, una parte di questi rifiuti invece di essere riciclati finiscono nelle strade, nei campi e nei canali, come in una Gomorra rivista oi salsa turca.

Molti paesi industrializzati inviano a paesi emergenti i propri rifiuti riciclabili perché costa meno, riduce lo spazio delle discariche nazionali e aiuta a realizzare gli obiettivi fissati per il riciclaggio. Il Regno Unito produce più plastica per persona di ogni altro Paese al mondo a parte gli Stati Uniti. E questa montagna di plastica britannica viene esportata principalmente in tre Paesi: Turchia, Malesia e Polonia. Ma i paesi emergenti cominciano a rifiutare di essere la discarica di quelli più ricchi. Nel 2020 la Malesia ha rimandato indietro 150 container di rifiuti plastica importati illegalmente, 42 dei quali appartenevano al Regno Unito. “Non vogliamo diventare il deposito della spazzatura del mondo” disse il ministro dell’Ambiente malese Yeo Bee Yin. Su tutto ciò influisce anche una Brexit ormai considerata da molti britannici una disgrazia.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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