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Invasione russa dell’Ucraina, dopo due anni e centinaia di migliaia di morti nessuno ha vinto

Una tragedia immane che si poteva evitare. E la cui fine non appare prossima

All’alba del 24 febbraio 2022, esattamente due anni fa, le forze armate russe invadevano l’Ucraina, Stato libero, sovrano e democratico dal crollo dell’Unione Sovietica e dalla proclamazione dell’indipendenza, nel 1991. La ragione? “I russi del Donbass ci chiedono aiuto” disse Putin, secondo cui l’Ucraina appartiene da sempre alla Russia, e le cui truppe puntarono direttamente su Kiev per conquistarla. La guerra tornava in Europa dopo 77 anni dalla fine del conflitto mondiale, e a 30 da quello che ha dilaniato la ex Jugoslavia, scioccando il mondo.

Oggi in Ucraina c’è una situazione di stallo simile alla Prima Guerra Mondiale. I russi sono stati ricacciati indietro dalla parte centro-settentrionale del paese e non hanno mai preso la capitale. Ma occupano stabilmente il Donbass e la fascia meridionale, con Melitopol fino ai confini di Kherson, come si vede dalla cartina che pubblichiamo sotto. Hanno saldato la Crimea, occupata e annessa nel 2014, a una lunga e ampia striscia di territorio strappato agli ucraini, pari a circa un quinto dell’Ucraina. Da lunghi mesi il fronte – lungo mille chilometri e irto di fortificazioni e campi minati – avanza o retrocede di pochi metri. Mentre è in corso una carneficina con centinaia se non migliaia di soldati che ogni giorno muoiono nel tentativo di conquistare un villaggio, il quartiere di una città, una strada.

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Soldato ucraino in trincea ad Avdiivka, non lontano dalla città di Donetsk. Foto Ansa/Epa Stanislav Kozliuk

L’Ucraina del 2024

La guerra entra dunque nel terzo anno di stragi, morte e distruzione. Per non dire nel decimo se si considera l’intero conflitto per il Donbass. Nessuno dei due eserciti è vicino alla vittoria militare, né ha raggiunto conquiste decisive. Eppure per la prima volta l’Ucraina è in seria difficoltà. A corto di uomini e munizioni, reduce dal fallimento della controffensiva dell’estate 2023 e divisa da dissidi interni. La popolazione è stanca, provata. L’ONU ha contato almeno 10mila civili massacrati dai russi, ma si tratta di una cifra probabilmente sottostimata. Sono poi migliaia i bambini strappati alle proprie famiglie e, come molti adulti, deportati in Russia. Ci sono persone violentate, torturate, recluse, barbaramente assassinate. Le cifre dei caduti in battaglia sono coperte da segreto. Si calcolano comunque centinaia di migliaia di soldati ucraini uccisi e/o feriti. Nelle scorse settimane il presidente Volodymyr Zelensky ha silurato il capo delle forze armate Valery Zaluzhny e per le strade di molte città serpeggia il terrore.

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In rosso i territori ucraini in mano ai russi dopo 2 anni di guerra. Foto Tgcom24

Anno elettorale in Europa e Usa

L’Ucraina vuole preparare per la difesa del paese altri 500mila uomini in armi: molti però si nascondono, cercano di espatriare e non vogliono andare a morire per la conquista di una testa di ponte, un paese, un brandello di territorio. L’obiettivo del nuovo comandante Oleksandr Syrsky è di resistere a oltranza.

Senza armi, munizioni e aiuti occidentali, però, l’Ucraina rischia di soccombere. Aiuti che il Congresso degli Stati Uniti alla fine ha approvato, ma che in realtà non si sbloccano. E non mutano l’intenzione dell’Amministrazione Biden di congelare il conflitto, in vista delle elezioni presidenziali di novembre in America. La NATO e l’Unione europea affermano di voler sostenere Kiev a tutti i costi ma in primavera ci saranno le elezioni politiche per il rinnovo dell’Eurocamera e la nomina del nuovo presidente della Commissione. In base a uno scenario realistico, Ursula von der Leyen sarà confermata capo dell’esecutivo Ue. Potrebbe tuttavia dover fare i conti con un Parlamento a maggioranza conservatrice. E le opinioni pubbliche dei 27 Stati membri dell’Unione non sono più così compatte nel sostegno a Kiev.

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Volontari distribuiscono pane ai cittadini di Avdiivka lo scorso 6 febbraio. Il villaggio è ora controllato dai russi. Foto Ansa/Epa Markiian Lyseiko

La situazione della Russia

E la Russia? Proprio il 7 ottobre –  nello stesso giorno del pogrom nazista di Hamas contro Israele – le truppe di Mosca hanno ripreso un’offensiva in due fasi. La prima fino alla fine di gennaio 2024 per la “difesa attiva“, al fine di consumare le risorse ucraine. La seconda ha visto la presa della città di Avdiivka, in Donbass, e ha modificato i bersagli dei bombardamenti. Non più centrali e infrastrutture energetiche per terrorizzare la popolazione ma strutture legate all’industria bellica e alla difesa ucraina. Contrariamente a Kiev, Mosca può contare su una produzione industriale militare maggiore, coadiuvata dalle forniture di Corea del Nord e Iran (soprattutto droni).

Mediamente il quadruplo rispetto alle munizioni e ai mezzi che l’Occidente sta garantendo faticosamente a Kiev. Per questo motivo l’Ucraina non riesce più a distruggere missili e droni russi come nei mesi passati. Ma la Russia è anche una potenza demografica. Al fronte, oggi, il rapporto è sostanzialmente di uno a uno fra i soldati dei due schieramenti, malgrado che siano morti probabilmente 350mila soldati russi. Dietro le linee i russi consentono il ricambio, mentre gli ucraini non hanno una riserva. E non sono in grado di crearsela perché da mesi sono fermi sulla legge sulla mobilitazione generale. L’esercito ha chiesto al governo Zelensky mezzo milione di reclute. In un paese stremato dove crescono le proteste per il mancato ritorno dei propri cari al fronte da due anni. E dal quale 6 milioni di cittadini sono emigrati all’estero per sfuggire agli invasori russi.

Le sanzioni non hanno piegato Mosca

Le sanzioni economiche dell’Occidente non hanno indebolito troppo la Russia, che ha aumentato la produzione in tutti i campi. E il mondo non ha isolato la Russia, anzi: la maggior parte degli Stati non si è schierata contro Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina. In primis Cina e India, in sede Brics, ma anche Corea del Nord e Iran, che sono diventati i principali fornitori militari di Mosca. All’opposto, gli Usa hanno bloccato i fondi per il sostegno militare e finanziario all’Ucraina, che tecnicamente è fallita sul piano economico. Mentre nell’Ue l’opposizione dell’Ungheria di Orban – ma anche di Slovacchia e Austria – blocca 50 milioni di euro di aiuti. Inoltre l’industria europea non vuole e non è più in grado di garantire le forniture di munizioni e armi promesse a Zelensky.

Quando finirà la guerra in Ucraina

In questo contesto è logico pensare che, dopo 2 anni, la guerra durerà ancora a lungo. La fallita controffensiva ucraina e la volontà russa di non lanciarsi in grandi conquiste, nonostante Mosca ne abbia le capacità, preannunciano tempi non certo brevi per un cessate il fuoco. Quando potrebbe finire la guerra? Nel momento in cui gli Usa dovessero accettare di sedersi al tavolo coi russi.

I quali, come hanno sempre dichiarato, vogliono trattare solo con gli americani, da pari a pari. Oppure se l’America e la Cina – che però sono in guerra fredda – si accordassero per costringere Russia e Ucraina a cessare il fuoco. Il tempo avvantaggia Mosca. Sembra che anche gli Stati Uniti vogliano usarlo per indurre l’Ucraina a più miti consigli. Lo scopo finale di Washington non è distruggere la Russia in questa guerra per procura, ma sottrarla all’influenza della Cina.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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