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Documenti esplosivi su Trump: “È a libro paga di Cina e Arabia Saudita”

I democratici al contrattacco dopo la richiesta di impeachment per Biden: nuovi guai per il tycoon che quest'anno potrebbe tornare alla Casa Bianca

Donald Trump avrebbe ricevuto almeno 7,8 milioni di dollari da circa 20 governi di altrettanti paesi stranieri durante i suoi 4 anni di presidenza degli Usa (2016-2020). La stragrande maggioranza di questi denari sarebbero arrivati dalla Cina, ossia il principale rivale planetario degli Stati Uniti. Lo scrive il New York Times citando documenti che i parlamentari democratici della Commissione di vigilanza hanno diffuso.

Il rapporto, intitolato White House For Sale (Casa Bianca in vendita), è la risposta all’indagine di impeachment che i repubblicani hanno lanciato nelle scorse settimane contro Joe Biden. Il presidente uscente è al centro delle polemiche per una presunta complicità negli affari all’estero del suo chiacchierato figlio Hunter. Tramite una documentazione emersa durante una controversia in tribunale, il rapporto White House For Sale descrive come Governi stranieri, compreso un importante avversario quale la Cina, abbiano interagito con le imprese di Trump mentre era presidente.

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Donald Trump. Foto Ansa/Epa Amanda Sabga

Un fiume di soldi per Trump

In sostanza avrebbero versato milioni di dollari nelle casse del Trump International Hotel di Washington Dc e del Trump International Hotel di Las Vegas. Ma anche della Trump Tower sulla Fifth Avenue a New York. E della Trump World Tower all’845 United Nations Plaza a New York. Nella prefazione al rapporto che i democratici hanno presentato, il deputato Jamie Raskin ha scritto: “Anteponendo i suoi interessi finanziari personali e le priorità politiche delle potenze straniere corrotte all’interesse pubblico americano, l’ex presidente Trump ha violato i chiari comandi della Costituzione“.

Tra i paesi che, secondo il rapporto citato dal New York Times, patrocinano le proprietà di Trump, la Cina ha effettuato il pagamento di maggior importo. Vale a dire 5,5 milioni di dollari. Tali pagamenti includevano denari provenienti dall’ambasciata cinese negli Stati Uniti. Così come dalla Banca industriale e commerciale cinese e dalla Hainan Airlines Holding Company.

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Il presidente cinese Xi Jinping. Foto Ansa/Epa Luong Thai Linh

L’Arabia Saudita è stata invece il secondo maggior finanziatore di Trump. Ha donato 615mila dollari alla Trump World Tower e al Trump International Hotel. Eric Trump, il figlio dell’ex presidente, insiste da tempo sul fatto che gli interessi stranieri non hanno influenzato la presidenza di suo padre. E che qualsiasi profitto guadagnato dall’azienda con i soggiorni in hotel ritornava al Governo federale attraverso un pagamento volontario al Dipartimento del Tesoro.

Il divieto in Costituzione

La Costituzione degli Stati Uniti, sottolinea il New York Times, vieta a un presidente in carica di accettare denaro, pagamenti o regalidi qualsiasi tipo” da governi e monarchi stranieri. A meno che il commander-in-chief non ottenga “il consenso del Congresso” per farlo. Il rapporto White House For Sale rileva che Trump non si è mai recato al Congresso per chiedere il consenso. I democratici hanno combattuto attraverso anni di contenzioso, sottolinea ancora il quotidiano della Grande Mela, per ottenere l’accesso almeno a una parte dei documenti aziendali di Donald Trump.

Dopo aver vinto in tribunale, attraverso varie sentenze, Mazars USA – la società di contabilità di lunga data di Trump che da tempo ha tagliato i legami con lui e la sue aziende – ha cominciato nel 2022 a consegnare documenti relativi agli affari finanziari dell’ex presidente. Questa vicenda, unita al fatto che l’ex ambasciatrice Usa all’ONU, Nikki Haley, guadagna punti nei sondaggi, è destinata a creare non pochi ostacoli al tycoon nel tentativo di riconquistare la Casa Bianca.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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