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È morto Toni Negri, il “cattivo maestro” del Sessantotto

Leader di Autonomia Operaia fu tra i capi della sinistra extraparlamentare, fece 10 anni di carcere, scappò in Francia e tornò in Italia

È morto a Parigi la notte scorsa, all’età di 90 anni, il filosofo e docente Toni Negri, storico leader di Autonomia Operaia durante i cosiddetti anni di piombo, ovvero i Settanta. A dare la notizia è stata la moglie di Negri, Judit Revel.

Toni Negri è stato uno dei maggiori teorici del marxismo operaista fra gli Anni Sessanta e gli Anni Settanta. Fu il più giovane professore ordinario in Italia, insegnando dal 1967 filosofia politica alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Dagli Anni Ottanta in poi si dedicò allo studio del pensiero politico di Baruch Spinoza. In collaborazione con Michael Hardt, ha scritto libri di teoria politica contemporanea.

negri morte parigi
Toni Negri. Foto X @OssRepressione

Negri, militanza operaista

Accanto alla sua attività teorica, ha svolto una intensa attività di militanza politica, come cofondatore e teorico militante delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia. Fu incarcerato e processato, all’interno del processo 7 aprile (Anni Ottanta), con l’accusa di aver partecipato ad atti terroristici e d’insurrezione armata. Il tribunale lo assolse da queste imputazioni. Negri fu però condannato a 12 anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale nella rapina di Argelato.

I fatti di Argelato, conosciuti anche come la strage di Argelato, furono l’omicidio del carabiniere Andrea Lombardini e il ferimento di un altro componente della pattuglia. Ciò avvenne a seguito di una rapina commessa il 5 dicembre 1974 da alcuni esponenti di Potere Operaio passati all’organizzazione Lavoro Illegale, i quali vennero poi arrestati e condannati per rapina e omicidio.

Il processo e la condanna

Nel 1979, già affermato docente universitario di filosofia, Toni Negri fu arrestato e – dopo 4 anni e mezzo di carcerazione preventiva – processato per “complicità politica e morale” con il gruppo terroristico delle Brigate Rosse. Il tutto in una controversa e discussa inchiesta giudiziaria chiamata giornalisticamente processo 7 aprile, per la quale lo si indicava in pratica come il cervello in capo a tutto il mondo della sinistra eversiva in Italia.

Negri sarà condannato in via definitiva a 12 anni di carcere, come accennato. Ai quali se ne aggiungeranno altri negli Anni Novanta, per i reati di associazione sovversiva e concorso morale in rapina. Il professore ne scontò in totale 10, di cui gli ultimi 4 in semilibertà. In merito a ciò, Negri proclamò sempre la propria innocenza, dichiarandosi vittima di errore giudiziario o asserendo d’essere stato condannato per un reato d’opinione.

negri processo 7 aprile 1983
Toni Negri (a destra) nel 1983 durante il “Processo 7 aprile”. Foto Ansa

L’elezione nel PR e l’espatrio

Il Partito Radicale di Marco Pannella lo elesse alle elezioni politiche del 1983, quale simbolico portabandiera per la riforma dell’istituto dell’immunità parlamentare. E per la modifica delle cosiddette leggi speciali: durissime normative per reprimere il terrorismo in Italia. Negri, divenuto deputato, e potendo perciò usufruire dell’immunità, uscì di prigione. Successivamente, il giorno antecedente quello del voto alla Camera per l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, si rifugiò in Francia. Lì poté beneficiare della dottrina Mitterrand, che negava l’estradizione e concedeva asilo per i reati che il governo di Parigi riteneva “a sfondo politico“. Negri prese a insegnare presso l’Università di Parigi 8, la Sorbona, l’École Normale Supérieure e il Collegio Internazionale di Filosofia.

Negri, il ritorno in Italia

Nel 1997, dopo un patteggiamento, tornò in Italia, dove scontò una pena ridotta, parzialmente in carcere (fino al 1999), poi in semilibertà, fino alla scarcerazione e alla fine pena nel 2003. Nel 2002 pubblicò uno dei suoi maggiori saggi: Impero, scritto assieme a Michael Hardt. Un’opera fortemente critica della globalizzazione liberista e del moderno imperialismo, e che Negri rileggeva come una nuova occasione di rivoluzione. Ancora oggi l’Italia deve fare i conti con l’epoca del terrorismo rosso (comunista) e nero (fascista), ovvero quella dei cosiddetti anni di piombo. Per quanto riguarda i cosiddetti ‘esuli’ rifugiatisi Oltralpe pesa ancora un irrisolto rapporto della Francia con gli strascichi della vecchia dottrina Mitterrand, come dimostra il caso degli ex terroristi, ormai persone anziane, che Parigi non intende estradare neppure adesso.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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