A un mese esatto dall’attacco omicida dei miliziani di Hamas giunti da Gaza, alle 11 (ora locale) Israele ha osservato un minuto di silenzio in memoria di quanto accaduto il 7 ottobre. In molti – sia nelle strade che negli uffici pubblici – si sono alzati in piedi rivolgendo un pensiero ai circa 240 ostaggi in mano di Hamas e alle 1.400 vittime dall’avvio della guerra.

Da quello stesso giorno Israele ha scatenato l’inferno su Gaza. Bombardamenti ininterrotti, anche di notte, stragi efferate, ambulanze e convogli presi di mira nella convinzione che terroristi di Hamas si nascondessero tra i feriti. Il 28 ottobre è cominciata l’invasione di terra e Gaza City è accerchiata. Sono in corso violenti combattimenti per le strade fra i palestinesi e l’esercito di Tel Aviv. A oggi fonti di Hamas indicano in oltre 10mila i morti – la metà dei quali donne e bambini – è in circa 20mila i feriti.

Palestinesi trasportano una vittima di un attacco israeliano a Khan Younis. Foto Ansa/Epa Haitam Imad

“Gaza sarà sotto il nostro controllo”

Gli israeliani non risparmiano neppure Rafah, la città meridionale a valico con l’Egitto: unico punto di fuga per migliaia di persone, che però vengono filtrate col contagocce. Possono infratti uscire e mettersi in salvo soltanto i feriti e chi ha doppio passaporto, oppure gli stranieri. Ad esempio anche gli italiani che operano a Gaza come volontari nelle ogn internazionali.

Il ministero della Sanità, sotto il controllo dell’organizzazione terroristica estremista Hamas (che controlla tutta la Striscia) ha detto che almeno 14 persone sono state uccise durante la notte del 7 novembre in attacchi israeliani a Rafah. Ma secondo Israele, l’esercito ha attaccato “terroristi di Hamas che erano sistemati in un palazzo vicino all’ospedale Al Quds di Gaza City“. Da parte sua il premier israeliano Netanyahu intanto ha ribadito: “Niente tregua senza rilascio degli ostaggi. Assumeremo la responsabilità della sicurezza a Gaza“.

ONU, Il Consiglio in panne

Un nuovo diretto scontro tra Israele e il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, si è intanto verificato il 6 novembre. “Gaza sta diventando un cimitero di bambini, ha detto il capo delle Nazioni Unite. Parole durissime che hanno fatto infuriare il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, che su Twitter ha reagito: “Si vergogni!“. E il Consiglio di sicurezza dell’ONU non è riuscito ancora una volta a trovare un accordo per una risoluzione sulla guerra a Gaza.

Il segretario dell’ONU, Antonio Guterres. Foto Ansa/Epa Chris J. Ratcliffe

Gli Stati Uniti chiedono “pause umanitarie” mentre molti altri membri del Consiglio chiedono un “cessate il fuoco umanitario” per fornire gli aiuti e prevenire ulteriori morti civili a Gaza. “Abbiamo parlato di pause umanitarie e siamo interessati a perseguire un linguaggio su questo punto“, ha detto ai giornalisti il vice ambasciatore americano Robert Wood dopo l’incontro. “Ma ci sono disaccordi all’interno del Consiglio sul fatto che ciò sia accettabile“.

Cisgiordania, cresce la tensione

Almeno 50 palestinesi sono intanto stati arrestati nelle operazioni di sicurezza delle Forze di difesa israeliane (IDF) in Cisgiordania. Si tratta dei territori occupati da decenni da Tel Aviv a ovest del fiume Giordano, la cui capitale de facto è Ramallah. Non è però sotto il controllo d Hamas, come la Striscia. A riferire degli arresti di massa è l’emittente panaraba di proprietà saudita Al Arabiya. Come riferisce l’agenzia di stampa palestinese Wafa, gli scontri più aspri si sono verificati a Tulkarem, nel nord-ovest della Cisgiordania e nel suo campo profughi. Lì 6 palestinesi sono rimasti feriti negli scontri con le IDF, che all’alba di martedì 7 novembre hanno effettuato la seconda incursione nella città in 24 ore. In questo contesto, di sempre più alta tensione, le diplomazie arabe del Golfo cercano di evitare un allargamento del conflitto.