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Salario minimo, perché la legge non arriva

Centrodestra in imbarazzo su una più che apprezzabile proposta dell'opposizione, la quale però appare irrigidita

Niente da fare: la proposta di legge sul salario minimo non passa alla Camera e viene rinviata in Commissione. Il voto per il rinvio di una normativa che sta mettendo in guerra maggioranza e opposizione è passato con 21 voti di differenza, lo scorso 18 ottobre.

Hanno votato a favore del rinvio i partiti della maggioranza di Centrodestra: FdI, Forza Italia e Lega mentre hanno votato contro quasi tutte le opposizioni. Ossia PD, M5S, Azione, Più Europa e Alleanza Verdi-Sinistra. Adesso è tutto da rivedere e da ridiscutere affinché una legge sul salario minimo entri un giorno in vigore.

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L’aula della Camera dei Deputati. Foto Ansa/Angelo Carconi

Salario minimo, Conte all’attacco

Duro il commento di Giuseppe Conte, presidente del Movimento Cinque Stelle, la formazione che più di ogni altra ha fatto del salario minimo una bandiera. “Affidate al rimpallo tra Cnel e rinvio in Commissione la realizzazione del delitto perfetto contro una misura di civiltà” ha dichiarato Conte in aula alla Camera, rivolgendosi alla maggioranza. “Anziché votare ci state chiedendo di rispedire la proposta di legge in Commissione per farla morire lì, ma non vi consentiremo rinvii e meline. Basta schiaffi a quest’aula. La politica dovrebbe mettere via le bandiere e dire che l’Italia è uno dei 5 paesi su 27 in Europa che ancora non ha il salario minimo“.

Schlein: “Fuga dalla realtà

La decisione del rinvio non è piaciuta neppure alla segretaria del PD, Elly Schlein, che a Montecitorio ha parlato della “cronaca di una fuga annunciata, una fuga dalla realtà“. E ha chiarito: “Oggi date un colpo ai 3,5 milioni di lavoratori poveri e poverissimi. Il segnale che lanciate loro è inequivocabile: ‘non contate nulla’. Vorrei aveste incontrato quei due vigilanti all’aeroporto di Torino che mi hanno raccontato che prendono 5 euro l’ora e devono fare tre lavori per campare. Invece vi presentate a mani vuote. Il rinvio è un modo per buttare la palla in tribuna, per non trovarsi nell’imbarazzo di dire no a una proposta di legge apprezzata anche da una parte dell’elettorato che ha votato per voi“.

Schlein ha poi aggiunto, riferendosi al parere del Cnel su tutta la questione: “Avete fatto dire ad altri ciò che voi non avete il coraggio di dire. Cioè che è normale avere salari bassi. Non avvertite sulla vostra pelle alcun senso di vergogna? La vostra scelta oggi è pavida, oltre a essere cinica. Abbiate il coraggio, se siete contrari, di votare contro affossando questa proposta“.

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La segretaria del PD, Elly Schlein. Foto Twitter @DomaniGiornale

La replica della maggioranza

Dall’esponente di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, è arrivata una risposta che rappresenta la maggioranza di Centrodestra. Sul salario minimo, ha detto il capogruppo Fdi alla Camera, le opposizioni vogliono solo “buttarla in caciara“. E si comportano “come allo stadio“. E sull’accusa di Schlein di “fuga dalla realtà” ha affermato: “Voi siete in fuga da qualche anno. Nel 2014 M5S ha presentato una proposta di legge. Il salario minimo era 9 euro. Era uno sbaglio allora o è una presa in giro oggi? O un compromesso che avete fatto? Spiegatelo, spiegatene le ragioni sotto il profilo economico”.

Italia Viva: “Sterilità assoluta

Un altro attacco al rinvio in commissione arriva da Italia Viva, con il senatore Enrico Borghi. Intervenendo via social media ha dichiarato: “Si giunge alla fine della pièce teatrale messa in scena ad agosto. La destra butta la palla in corner, la sinistra sale orgogliosamente sulle barricate. Il risultato è quello che avevamo preannunciato sottraendoci a questo teatrino: la sterilità assoluta. Ripartiamo dalle nostre proposte: partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa, taglio delle tasse alle imprese per trasferire risorse sui salari, incentivo alla produttività, sostegno alla contrattazione“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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