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Mattarella: “Don Puglisi ha dimostrato che la mafia può essere sconfitta”

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Fiaccolate, eventi, testimonianze: Palermo e l’Italia ricordano i 30 anni dell’omicidio don Giuseppe Puglisi, che la mafia ha assassinato il 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56° compleanno. Padre Pino, come lo chiamavano, era parroco del quartiere Brancaccio, nel capoluogo siciliano, storica roccaforte dei boss mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano, in carcere dal 1994.

In un messaggio il capo dello Stato, Sergio Mattarella, concittadino di don Puglisi, ha ricordato il sacerdote. “La Repubblica è riconoscente a don Pino Puglisi e lo ricorda con commozione a 30 anni dalla morte. La memoria del suo appassionato impegno per il diritto di ogni persona a una vita degna costituisce un ancoraggio e un impulso costante alle Istituzioni, alle forze sane della società, ai singoli cittadini per operare nella legalità e nella giustizia“.

Foto Ansa/VelvetMag

Don Puglisi era nato a Brancaccio – ha sottolineato Mattarella – e vi era tornato per svolgere il suo servizio pastorale. Proprio questo suo radicamento esprimeva un significato e una forza che i capi mafiosi – mandanti dell’esecuzione – non riuscivano a tollerare. Don Puglisi dimostrava con le parole e con i fatti che è giusto resistere e ribellarsi alle logiche criminali, che la mafia può e deve essere sconfitta perché quelli in gioco sono i diritti elementari e la dignità stessa di tutti gli esseri umani“.

Il pizzo a Brancaccio oggi

E a Palermo com’è cambiato il quartiere di Brancaccio dopo il suo omicidio? C’è chi ha conosciuto il parroco e ha improntato la vita al suo esempio, sottolinea Palermo Today, ma c’è anche chi afferma di non conoscerlo. Se molto è stato fatto, anche grazie all’impegno del Centro Padre Nostro che don Puglisi fondò, tante sono le opere che restano incompiute dopo trent’anni. Dall’auditorium all’asilo nido e alla piazza. Brancaccio non ha neppure una piazza.

Malgrado decine di inchieste penali della magistratura che nel corso di 3 decenni hanno portato in carcere centinaia, se non migliaia, di persone affiliate a Cosa nostra, il quartiere Brancaccio di cui fu parroco don Puglisi resta un territorio complesso. L’omertà e la paura restano forti e in una delle ultime inchieste, spiega Sandra Figliuolo di Palermo Today, era emersa l’imposizione a tappeto del pizzo da parte dei mafiosi.

Non solo a gelaterie, locali, panifici, ma persino con la richiesta di 5 euro agli ambulanti che prendevano parte a un mercato domenicale nel quartiere. Una cifra irrisoria che tuttavia da sempre serve per imporre il controllo del territorio. Il racket, però, non è l’unica faccia della criminalità a Brancaccio perché c’è anche lo spaccio di droga. Come emerso da diverse indagini, intere famiglie di fatto vivono smerciando droga. Coinvolgono nel ‘lavoro’ anche i ragazzini. A fornire la materia prima (hashish, marijuana, crack e cocaina) sono i boss di Cosa nostra.

Fiaccolata a Palermo per ricordare don Pino Puglisi a 30 anni dalla morte. Foto Ansa

Chi era don Puglisi

E tuttavia “se ognuno fa qualcosa possiamo fare molto” diceva don Puglisi, che fu parroco di Brancaccio fra il 1990 e il 1993 quando i killer di mafia Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza lo assassinarono su ordine del boss Giuseppe Graviano. Don Pino, 56 anni, aveva cominciato a lavorare per il riscatto sociale, umano e religioso di molti suoi parrocchiani, schiacciati dallo strapotere di Cosa nostra a Brancaccio. E per i cittadini del quartiere era arrivata una speranza, una possbilità di rialzare la testa.

Secondo quanto scrissero i giudici, “era di carattere schivo e riservato, preferendo l’impegno quotidiano alle azioni spettacolari. Ma per il suo attivismo che si esprimeva nell’organizzazione di visite ed incontri con le istituzioni, nella partecipazione a cortei contro il potere criminale, nelle denunce del malaffare, si era esposto prima alle rappresaglie poi all’offensiva della mafia. Aveva ricevuto minacce, avvertimenti, che aveva coraggiosamente denunciato ai fedeli nelle omelie domenicali“. Oggi Gaspare Spatuzza, inviato a uccidere don Puglisi, è tornato libero. Diventato collaboratore di giustizia, ha svelato i retroscena dell’assassinio del parroco di Brancaccio e ha squarciato il velo su uno dei più gravi depistaggi della storia italiana: quello sulla strage di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.

Il Centro Padre Nostro fondato a Palermo da don Puglisi. Foto Ansa

La mafia aveva paura di don Pino

In soli 3 anni di presenza a Brancaccio, don Pino Puglisisi era dedicato ad un’attiva opera costruttiva, anche se in modo silenzioso, di recupero sociale del quartiere” scrisse nel 1998 l’allora pm Lorenzo Matassa. Don Pino “aiutava i non abbienti, i bambini abbandonati e le famiglie in difficoltà. La sua opera pastorale si era estrinsecata in ogni settore, come il recupero dei tossicodipendenti, la creazione di aggregati sociali, tra cui il centro Padre Nostro e il Comitato intercondominiale di via Azolino Hazon. La chiesa di San Gaetano era diventata per tutti un centro di riferimento e soprattutto per gli abitanti di Brancaccio che trovavano un’alternativa alla triste e violenta realtà ambientale“. Ma il prete “non aveva l’intenzione di sottostare alle regole di Cosa nostra” spiegò Spatuzza. Per questo i boss di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano ne decretarono la condanna a morte.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore. Segui Domenico su Facebook Segui Domenico su Linkedin

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