Dopo il golpe del 26 luglio contro il presidente Mohamed Bazoum – democraticamente eletto – il Niger è ora sotto il potere di una giunta militare. Gli occidentali presenti nel paese, compresi diversi italiani, stanno rientrando precipitosamente in patria.

A guidare i militari golpisti è il generale Abdourahamane Tchiani, 62 anni, che, secondo molti osservatori, stava per essere defenestrato da capo della Guardia presidenziale e per questo ha cacciato il capo dello Stato. Ora, però, nel mirino di Tchiani c’è il diretto controllo delle miniere di uranio – indispensabili alla produzione dell’energia nucleare in Francia e non solo – e dei giacimenti di petrolio: le ricchezze del Niger ampiamente sfruttate dall’Occidente da decenni.

Manifestanti nigerini a sostegno del golpe anti-francese e anti-occidentale. Foto Ansa/Epa Issifou Djibo

Il rischio di una guerra

I militari al potere sono stati subito calorosamente salutati dal capo della Wagner, l’esercito privato di mercenari più grande del mondo, il russo Yevgheny Prigozhin. Ossia l’uomo che ha sfidato Putin col finto golpe del 24 maggio scorso e che poi il presidente russo ha ricevuto al Cremlino dopo l’intesa. Il colpo di Stato in Niger ha visto manifestazioni di piazza a sostegno dei golpisti, partecipate da molti giovani, che sono la maggioranza della popolazione. All’insegna di slogan contro Macron e la Francia e di un’attacco fisico alla sede dell’ambasciata di Parigi a Niamey, la Capitale del paese.

Sul Niger ora soffiano venti di guerra. Alcuni dei paesi confinanti – in particolare Mali, Burkina Faso e Ciad – si sono detti pronti ad appoggiare militarmente i golpisti qualora l’Occidente, con in testa la Francia, dovesse intraprendere un’azione militare. Un’eventualità che non sembra realistica, sebbene in Africa la Communauté Économique des États de l’Afrique de l’Ouest – Economic Community of West African States (Cedeao – Ecowas) minacci un intervento armato e chieda di ristabilire l’ordine democratico entro una settimana.

Fra il 2019 e il 2023 sono stati diversi i golpe militari nei vari paesi africani sahariani del Sahel

Non è un golpe come gli altri

Come sottolinea Greeneport, quello del Niger non è un golpe africano come tanti altri, di fronte ai quali, al di là  delle proteste di rito, i paesi occidentali – gli ex colonizzatori dell’Africa, Francia e Inghilterra in primis – non si preoccupano più di tanto. Questa volta la situazione è più complessa.

Se da un lato resta operativa in Niger la multinazionale estrattrice francese Orano, dall’altro Niamey guarda sempre di più verso la Cina – la nuova potenza mondiale colonizzatrice dell’Africa – e i paesi del Golfo Persico. La ‘manifestazione d’interesse’ della Russia che ha svolto a San Pietroburgo un vertice per l’Africa e l’esultanza di Prigozhin per il golpe a Niamey non aiutano l’Occidente e fanno intuire come stiano mutando gli equilibri del continente nero. L’Europa teme in particolare per le sorti del progetto riguardante il gasdotto trans-sahariano dalla Nigeria al Mediterraneo e per i flussi migratori dall’Africa subsahariana: in entrambi i casi il Niger funge da paese chiave, destabilizzato il quale non si hanno più certezze.

La premier Meloni col presidente tunisino Saied. Foto Ansa/Angelo Carconi

Se una coalizione militare internazionale a guida europea o statunitense, o anche africana,  inviasse soldati a ripristinare l’ordine – magari dietro la foglia di fico del via libera di una risoluzione ONU – potrebbero aprirsi scenari geopolitici drammatici. In molti ritengono che un intervento militare contro i golpisti in Niger finirebbe per ingrossare le fila delle milizie dell’estremismo islamico jihadista. Milizie che stanno sfruttando abbondantemente il sentimento anti-francese e anti-occidentale che monta tra i giovani. Molti dei quali vedono nel golpe un modo per fronteggiare l’offensiva jihadista. Ma anche, appunto, per affrancarsi dall’egemonia economica e politica della Francia.

Gli italiani in Niger

E l’Italia? Per ora si limita a far rientrare, come avvenuto il 2 agosto con un volo atterrato a Ciampino, i connazionali in fuga dal Niger. Giorgia Meloni ha però impostato una politica di accordi senza scrupoli – sul solco di quanto già fatto dal Governo Gentiloni con la Libia – con i paesi del Nordafrica, a cominciare dalla Tunisia, per fermare i flussi migratori. Una politica simbolicamente culminata nella Conferenza di Roma sulle Migrazioni del 23 luglio. E ha lanciato in grande stile il suo Piano Mattei, di cui anche gli Usa hanno preso atto, nel tentativo di mettere in gioco Roma sullo scacchiere africano delle grandi potenze.

Non tutti gli italiani che lavorano in Niger, oppure operano nelle organizzazioni umanitarie e nelle missioni religiose, stanno però rientrando. “Ci sono ancora una quarantina di italiani che hanno deciso di rimanereha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a Rainews24. “Sono in gran parte operatori di ong di grande esperienza, che conoscono la città e il territorio nigerino, e che l’ambasciata contatta costantemente assieme dall’Unità di crisi“. Come in Sud Sudan c’è chi preferisce rientrare e chi invece preferisce restare a rischio della vita.