Sulla vicenda del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni può avvicinarsi una svolta in grado di far ripartire il procedimento penale in corso, che è sospeso. Il Giudice dell’udienza preliminare (Gup) di Roma ha accolto infatti la richiesta della procura.

E ha deciso di inviare alla Corte Costituzionale gli atti del processo a carico degli 007 egiziani accusati del massacro del ricercatore friulano dell’Università di Cambridge, avvenuto al Cairo tra la fine di gennaio e i primi di febbraio del 2016.

Da sin., Paola Regeni, Alessandra Ballerini, il sindaco Giuseppe Sala e Claudio Regeni a Milano. Foto Ansa/Mourad Balti Touati

Il giudice ha chiesto alla Corte Costituzionale di esprimersi sulla questione relativa all’assenza degli imputati: quattro agenti della sicurezza egiziani. Tutto ciò al fine di superare lo stallo del procedimento sulla morte di Giulio Regeni. L’Egitto, sostiene il Gup di Roma, ha fatto “una scelta antidemocratica” perché non ha mai collaborato alle indagini della magistratura italiana, rifiutando di consentire la notifica del processo agli indirizzi degli imputati.

Caso Regeni, la speranza dei genitori

È per questa ragione ‘tecnica’ che il procedimento penale, per la legge italiana, non può andare avanti. Adesso la decisione di inviare gli atti alla Consulta fa tirare un sospiro di sollievo ai genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni. “Speriamo – ha detto per loro l’avvocatessa Alessandra Balleriniche questa sia la volta definitiva e che venga sancito che questo processo si può e si deve fare. Visto che noi diciamo sempre che Giulio ‘fa cose’, speriamo che Giulio possa intervenire anche in una riforma legislativa che consenta di non lasciare impuniti i reati di questa gravità quando gli Stati non collaborano.”

Perché il rinvio alla Consulta

Il gup di Roma ritiene che il rilievo costituzionale che la procura capitolina ha sollevato circa l’assenza degli imputati sia “rilevante e non costituzionalmente infondata“. “La scelta delle autorità egiziane di sottrarre i propri cittadini alla giurisdizione italiana – scrive nell’ordinanza il Gup – e all’accertamento delle responsabilità è una scelta antidemocratica, autoritaria.” Una scelta che “di fatto crea in Italia, Paese che si ispira ai principi democratici e di eguaglianza, una disparità di trattamento rispetto ai cittadini italiani e ai cittadini stranieri di altri Paesi. Per i quali, in casi analoghi, il processo si farebbe.”

Da sin., Patrick Zaki e Giulio Regeni. Foto Twitter @valigiablu

Cosa deve stabilire la Corte

Lo scorso 3 aprile il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, aveva sollevato in aula la questione di costituzionalità dell’articolo 420 bis del Codice di procedura penale. In particolare nella norma in cui prevede che l’assenza di conoscenza del processo da parte di un imputato derivi dalla mancata cooperazione di uno Stato estero. E il giudice ha accolto la richiesta della Procura.

La Consulta dovrà a breve decidere sull’articolo così come lo ha modificato la riforma della giustizia che porta la firma della ministra Marta Cartabia. E ciò per quanto riguarda la parte della norma in cui non si prevede che si possa procedere in assenza dell’accusato se il paese estero non collabora. Per il resto si attende che il Governo Meloni confermi i suoi impegni di attenzione al caso Regeni così come a quello di Patrick Zaki, dopo il colloquio dello scorso novembre fra la premier e il dittatore egiziano al Sisi.

I casi Regeni e Zaki

Giulio Regeni, 28 anni, ricercatore friulano dell’Università di Cambridge, in Inghilterra, è stato sequestrato, torturato e assassinato al Cairo nel 2016. In Italia è sospeso il processo che vede imputati in contumacia 4 agenti dei servizi di sicurezza egiziani, ritenuti responsabili del rapimento, delle sevizie e dell’omicidio del giovane.

Patrick Zaki è invece un’attivista egiziano per i diritti umani e civili, studente all’Università di Bologna, attualmente libero dopo la scarcerazione avvenuta in Egitto l’8 dicembre 2021, al termine di 22 mesi di custodia cautelare. Ma non può tornare in Italia. A suo carico l’accusa di “diffusione di notizie false ai danni dell’Egitto.” Il tutto per aver scritto dei post su Facebook e un articolo in cui prendeva le difese della minoranza oppressa dei cristiani copti, a cui egli stesso appartiene.