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Gas, la Russia chiude i rubinetti

Ufficialmente per "manutenzione" ma il timore è che questa volta lo stop verso l'Europa sia definitivo

Da oggi 31 agosto il gas russo non arriva più in Europa. Gazprom, l’azienda energetica statale russa, ha interrotto le forniture che finora avvenivano tramite il gasdotto Nord Stream 1.

Si tratta dell’infrastruttura che costituisce il principale collegamento per trasportare gas naturale dalla Russia alla Germania, e quindi all’Europa. L’azienda ha motivato la decisione dicendo che il gasdotto necessita di manutenzione. La fornitura riprenderà dal 4 settembre, salvo complicazioni, con un flusso di gas pari al 20% della capacità totale del gasdotto, come avviene da luglio. Difficile, però, credere che davvero Mosca voglia fare improvvisamente “manutenzione“. Già a giugno, infatti, le forniture di gas dalla Russia si erano ridotte al 40% del totale. In un secondo momento le autorità le avevano bloccate per 10 giorni a causa di una presunta “manutenzione programmata“. Poi le avevano ripristinate solo al 40% e infine ridotte al 20%. In quell’occasione le autorità europee avevano temuto un taglio definitivo. Cosa che potrebbe avvenire abbastanza presto.

Foto Ansa/Epa Sascha Steinbach

Il gas russo e l’Italia

Se non è già avvenuta adesso. Ovvero se, dopo il 3 settembre, invece che riprendere, sebbene a livelli sempre più bassi, il flusso di gas naturale verso l’Occidente non s’interrompa per sempre. Quantomeno finché continuerà la guerra della Russia in Ucraina. Da mesi il governo russo sostiene che i tagli alle sue forniture di gas siano dovuti alle sanzioni dell’Europa e degli Stati Uniti contro Mosca. Tali sanzioni impedirebbero alla Russia di accedere ad apparecchiature e interventi di manutenzione. Tuttavia molti analisti e governi occidentali ritengono che si tratti di un alibi. Una scusa per interrompere o ridurre le forniture come ritorsione per le sanzioni decise dopo l’invasione dell’Ucraina.

Gazprom, la sede di San Pietroburgo, in Russia. Foto Ansa/Epa Anatoly Maltsev

Da mesi molti paesi europei, Italia compresa, sono al lavoro per riempire i depositi di gas nazionali in vista della stagione fredda, mentre il prezzo del gas continua a crescere senza sosta. Nel nostro Paese gli stoccaggi corrispondono oggi all’80% circa del fabbisogno nazionale. Ma non basta. Si sta ricorrendo al carbone, uno fra i combustibili fossili più inquinanti, per prepararsi al peggio: un inverno di possibile razionamento del gas e del riscaldamento nelle case e nelle aziende. Il Governo cerca inoltre di favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili: l’eolico, il solare, l’idroelettrico, la geotermia, le biomasse. Un’operazione che appare necessaria ma non sufficiente a garantire il mantenimento del livello di benessere e sviluppo dell’Italia, paese industrializzato fra i più importanti del mondo. Tant’è che nel dibattito elettorale è scontro fra i partiti sull’eventualità di fare ricorso a reattori nucleari di ultima generazione.

Gas, prezzi decuplicati

Nell’arco degli ultimi 12 mesi e soprattutto degli ultimi 6 – da quando, il 24 febbraio 2022, la Russia ha invaso l’Ucraina, scatenando una guerra che continua a crescere d’intensità – i prezzi di gas e luce sono aumentati a dismisura. Anche a causa di una violenta speculazione che si fa sullo scenario di guerra. Il 30 agosto il contratto Ttf, il riferimento per il gas europeo trattato ad Amsterdam, ha chiuso la giornata a 254 euro al megawattora: quasi 10 volte il prezzo di un anno fa. L’Unione europea comincia ora a prendere in considerazione la proposta che il premier italiano, Mario Draghi, ha fatto da mesi: mettere un tetto al prezzo del gas importato, il cosiddetto price cap. L’altra ipotesi su cui le cancellerie europee starebbero lavorando è quella di sganciare il prezzo dell’elettricità da quello del metano, al fine di calmierarne la crescita.

Mario Draghi. Foto Ansa/Chigi

 

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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