Consiglio dei ministri, nel pomeriggio di oggi 5 ottobre, per esaminare la delega alla riforma del fisco. La cabina di regia del premier Mario Draghi e del ministro dell’Economia, Daniele Franco, farà da camera di compensazione con i capi delegazione di maggioranza.
Nel disegno di legge delega fiscale ci sarà anche la riforma del catasto che tanto ha agitato i partiti. La riforma del fisco e del catasto in particolare è uno degli impegni presi dall’Italia con la Commissione europea nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In base al Piano e alla realizzazione delle riforme previste, il nostro Paese otterrà, o meno, tutti i 191,5 miliardi di euro del Recovery Plan.
Sul fisco, per quanto riguarda la riforma del catasto, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono sulle barricate. Ma Draghi ha annunciato pubblicamente che la riforma ci sarà. Probabile che al momento si promuova il completamento della revisione degli estimi catastali. Si rinvierebbe, invece, a una seconda fase la scelta sulla revisione della tassazione. In questo modo il percorso complessivo della riforma durerebbe almeno 3 anni. Dopo il 2026, però, l’anno in cui scadranno i finanziamenti europei del Recovery Plan, ci sarà da fare i conti con la restituzione dei prestiti ricevuti da Bruxelles. E con un debito pubblico esploso: già oggi è al 160% del Pil. Difficile che, a quel punto, le tasse non aumentino in modo significativo.
Nella legge delega di riforma del fisco entrerà comunque anche molto altro. Si va dalla revisione delle aliquote Irpef, con attenzione al ceto medio, all’abolizione dell’Irap e, con ogni probabilità anche un intervento sulle aliquote Iva. La delega giunge dopo mesi di gestazione. L’obiettivo è appunto riscrivere il sistema del prelievo fiscale e adeguare la cornice normativa per un nuovo fisco più semplice. La delega era stata promessa in un primo momento entro il mese di luglio, poi era slittata a settembre e poi ancora a dopo le amministrative del 3 e 4 ottobre. E c’era chi scommetteva che il progetto non sarebbe arrivato prima dei ballottaggi. Invece a urne chiuse il premier ha deciso l’accelerazione.
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