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Dazi sulle auto elettriche, guerra aperta fra la Ue e la Cina

La Commissione segue il precedente americano e annuncia super tariffe da luglio. In Europa è boom di veicoli elettrici sovvenzionati dallo Stato cinese

L’unione europea abbatte la scure dei dazi sulle auto elettriche cinesi. La Cina è ormai il paese che più al mondo è in grado di produrre veicoli elettrici a buon mercato, così come l’elemento fondamentale delle batterie di ricarica. Ma dal mese di luglio su questi prodotti scatteranno le tariffe, al momento dell’importazione nell’Unione Europea.

La Commissione europea ha annunciato il 12 giugno ì i risultati preliminari di un’indagine ancora in corso sulle sovvenzioni che le autorità di Pechino concedono ai produttori cinesi di veicoli elettrici. Stando al documento, i principali marchi cinesi ricevono sussidi definiti come “ingiusti e dannosi per la concorrenza dei produttori europei“. E dunque subiranno dazi. La più sanzionata è la Saic con un dazio del 38,1%. Seguono Geely con il 20% e Byd con il 17,4%.

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Foto Ansa/Epa Bagus Indahono

Auto elettriche, mercato in espansione

Altri marchi che hanno invece cooperato nell’indagine europea subiranno sanzioni del 21%. I dazi, che si aggiungeranno a una tariffa d’importazione del 10%, entreranno in vigore sotto forma di una garanzia il prossimo 4 luglio. Questo nel caso in cui i negoziati con le autorità cinesi non producano una soluzione concordata. Per essere riscossi definitivamente, però, servirà l’eventuale approvazione definiva degli Stati membri della Ue in autunno. La Byd ha sede a Shezhen, nel sud della Repubblica Popolare Cinese, e si è posta obiettivi ambiziosi nel mercato europeo.

Le vendite di auto elettriche cinesi sono cresciute rapidamente in Europa: da 57mila unità nel 2020 a oltre 437mila nel 2023, secondo Eurostat, per un valore attuale di 9,66 miliardi di euro. Si tratta di numeri che includono i modelli prodotti in Cina da marchi occidentali come Bmw, Renault e Tesla. Uno studio di Transport and Environment, una ong per l’energia pulita e trasporti a zero emissioni, indica che la quota dei marchi cinesi nel mercato elettrico dell’Ue è passata dallo 0,4% nel 2019 al 7,9% nel 2023. E potrebbe superare il 20% entro il 2027.

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Un’auto elettrica AION Y plus della casa automobilistica cinese GAC esposta al 45° Bangkok International Motor Show 2024. Foto Ansa/Epa Rungroj Yongrit

Perché i dazi contro la Cina

Bruxelles teme che, a causa delle generose iniezioni di sussidi da parte di Pechino, le aziende europee non siano in grado di competere con i produttori cinesi. E finiscano per essere estromesse da questo settore sempre più lucrativo. Un fenomeno che si è già verificato per i pannelli solari. La Commissione ha accertato l’esistenza di aiuti di Stato su più fronti in Cina. Sotto forma di sovvenzioni, prestiti a basso costo, crediti sostenuti dallo Stato, sconti fiscali, esenzioni dalla tassazione indiretta sui consumi e prezzi scontati di beni e servizi.

I dazi servono a rendere più costosa la vendita dei mezzi cinesi e quindi ad avvicinare i prezzi finali ai loro rivali europei, con l’obiettivo finale di creare una concorrenza leale. I produttori cinesi già beneficiano di bassi costi di manodopera e di energia, di un accesso più facile alle materie prime e di un solido ecosistema per la produzione di batterie. Le aziende cinesi però vendono i loro veicoli in Europa a un prezzo molto più alto di quello praticato in patria. Questo crea un margine per assorbire lasciando il prezzo finale per il consumatore europeo comunque vantaggioso. Tutti gli occhi sono ora puntati sulla Germania, un esportatore di automobili leader a livello mondiale. Nel corso dei decenni Berlino ha ampliato la sua presenza in Cina e aumentato la sua dipendenza dal quel mercato. E non vuole i dazi perché teme ritorsioni da parte della Cina.

 

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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