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Rafah, gli Usa bloccano l’invio di bombe a Israele

Tel Aviv ha riaperto il valico di Kerem Shalom ma Washington teme una nuova fase della guerra e sta riconsiderando la spedizione di armamenti

Dopo l’avvio dell’invasione di terra sui quartieri periferici di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, gli Usa chiudono il ‘rubinetto’ delle armi a Israele. Gli Stati Uniti hanno infatti sospeso la spedizione di bombe a Tel Aviv. Ciò a causa delle preoccupazioni sul loro potenziale utilizzo nell’annunciata operazione a Rafah. Lo riporta il Times of Israel citando un funzionario dell’amministrazione Biden. La spedizione sospesa comprende 1.800 bombe da 910 chili e 1.700 bombe da 225 chili.

Intanto Israele ha riaperto il valico di Kerem Shalom, chiuso domenica 5 maggio a seguito dell’attacco nel quale erano rimasti uccisi 4 militari. Il Coordinatore delle attività governative nei Territori ha dichiarato che il valico è stato riaperto al mattino dell’8 maggio ai camion carichi di aiuti umanitari per l’ingresso nella Striscia di Gaza, secondo le “direttive adottate a livello politico“.

Armi Israele Usa gGaza
Camion trasportano carri armati militari israeliani al confine con la Striscia di Gaza. Foto Ansa/Epa Atef Safadi

Gli Usa armano Israele ma ora hanno paura

Negli Stati Uniti l’Amministrazione Biden, che punta alla riconferma alle presidenziali di novembre, è in tensione. Si moltiplicano le ondate di proteste e occupazioni dei campus universitari da parte dei gruppi di studenti. Migliaia di persone che chiedono la fine della guerra contro i palestinesi. Washington si oppone a un’offensiva su larga scala delle truppe israeliane a Rafah. E ha chiarito che non sosterrà un attacco senza un piano per proteggere i civili. Ed evitare un’espansione della catastrofe umanitaria in corso nell’enclave della Striscia di Gaza.

Siamo concentrati sull’uso finale delle bombe. E sull’impatto che potrebbero avere in ambienti densamente popolati, come abbiamo visto in alcune parti di Gaza“, ha detto il funzionario Usa al Times of Israel. Tuttavia, ha chiarito, l’Amministrazione Biden non ha ancora preso una decisione definitiva. Al momento la spedizione di armi non è completamente annullata. “Quando il mese scorso i leader israeliani sembravano avvicinarsi ad una decisione sull’operazione – ha dichiarato la fonte – abbiamo iniziato a rivedere i trasferimenti di particolari armi a Israele“.

A quanto sembra gli Usa avrebbero già ritardato, tempo addietro, un trasferimento a Israele di JDAM, Joint Direct Attack Munition: sistemi in grado di trasformare bombe a caduta libera in bombe guidate. “Siamo impegnati a garantire che Israele riceva ogni dollaro stanziato nel supplemento” ha tuttavia sottolineato l’alto funzionario dell’Amministrazione Usa. Gli Stati Uniti hanno appena approvato altri 827 milioni di dollari di armi e attrezzature per Israele.

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Studenti dell’Università di Seoul a una manifestazione contro il governo israeliano. Foto Ansa/Epa Jeon Heon-Kyun

Il valico di Rafah

Il 7 maggio Israele ha effettuato quella che gli Stati Uniti hanno descritto come un’operazione “limitata” a Rafah. L’esercito israeliano ha preso, cioè, il controllo del valico di frontiera con l’Egitto dalla quale passano gli aiuti umanitari per la popolazione. “Questa sembra essere un’operazione limitata, ma ovviamente molto dipende da ciò che verrà dopo“, ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato, Matt Miller. “Hanno detto chiaramente che vogliono condurre lì una grande operazione militare. Abbiamo chiarito che siamo contrari a tale operazione“.

In questi giorni gli attivisti che in Israele manifestano per il rilascio degli ostaggi a Gaza hanno intanto bloccato l’autostrada Ayalon a Tel Aviv durante le ore di punta. I manifestanti – tra loro i parenti degli ostaggi – hanno bloccato il traffico in direzione nord allo svincolo di Rokach chiedendo un accordo con Hamas per il rilascio dei rapiti. Il tutto mentre, l’8 maggio è atteso l’arrivo in Israele del capo della Cia, Bill Burns. Lo riporta il Times of Israel.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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