NewsPrimo piano

Gli USA sono in una crisi politica interna senza precedenti

Dai flussi migratori al disastro della Woke culture. Negli USA del sud si torna a parlare di secessione.

Gli USA stanno vivendo una crisi politica interna senza precedenti. Aldilà delle sfide internazionali infatti, che hanno svelato oggi al mondo la debolezza della politica estera di Washington, che fatica a formulare una strategia per la risoluzione dei due conflitti globali. A preoccupare gli esperti è soprattutto la tenuta socio-culturale della prima potenza economica mondiale. Che dopo secoli è più divisa che mai.

Diversi sono i fattori che stanno portando gli USA ad un vero e proprio collasso interno. Che sta generando un atmosfera quasi da “guerra civile“, rendendo sempre più complicata anche la formulazione di una politica estera lineare e coerente. Tra i vari fattori vi sarebbe l’immigrazione, ormai fuori controllo, e una criminalità in aumento in tutte le maggiori città americane. Tra cui New York.

Proteste pro-Palestina/ FOTO ANSA

Ma è soprattutto la radicalizzazione e l’estremizzazione di una guerra culturale fra due Americhe, che ha avuto inizio dal wokismo, che sta creando una dinamica di paura, odio e violenza in tutto il Paese. Con il risultato che la Nazione oggi si sta frammentando in uno dei momenti più delicati della storia moderna.

La crisi politica interna degli USA: il divario delle due Americhe

Dall’assalto al Campidoglio a Capitol Hill, la crisi politica interna degli USA si è via via aggravata. Diventando una vera e propria lotta intestina, che sta sfaldando la coesione del popolo americano. In alcuni Stati, come il Texas, si pronunciano addirittura parole come “secessione”. Risvegliando lo spettro della “guerra civile“. Ma esistono davvero delle spaccature tanto profonde? Ebbene si. Esiste un divario oggi fra “due Americhe” apparentemente insormontabile. Un’America globalista, e tendenzialmente più disposta a sostenere i sacrifici economici necessari per mantenere l’egemonia globale USA. E un’America bellicista, nazionalista e isolazionista, che non intende più sostenere il costo economico e umano di guerre oltreoceano. Si fa sempre più spazio inoltre nella classe media, l’esistenza del cosiddetto Deep State. Un élite burocratica degli apparati pubblici e del mondo dell’alta finanza, nonché delle big tech, in grado di orientare e pilotare ogni volta le decisioni del Presidente, indifferentemente dal suo colore politico.

Presidente Joe Biden/ FOTO ANSA

Ma le divisioni socio-culturali fra le due Americhe non finiscono qui. La Woke culture sta contribuendo a distruggere le fondamenta dell’identità USA. Dove il politically correct ha invaso anche gli atenei più prestigiosi, come Harvard, nei quali è sempre più difficile oggi instaurare un libero dibattito ed esercitare uno spirito critico. Basti pensare che la Columbia University, in seguito allo scoppio della guerra a Gaza, ha cancellato dal percorso di studi il noto sociologo arabo Edward Said. Una digressione culturale drammatica, nella terra che per decenni ha fatto della libertà il proprio valore edificante. Ma anche il tema dei flussi migratori non è secondario a quello culturale, e sta minando gravemente la stabilità interna e la coesione fra gli Stati. Con i dati che parlano di circa 302 mila immigrati clandestini arrestati solo nel dicembre 2023. E secondo alcune stime sarebbero almeno 1 milione l’anno gli ingressi illegali al confine con il Messico.

I flussi migratori fuori controllo e gli insuccessi in politica estera di Biden

Una manodopera sommersa, sottopagata, e finanziata in nero dunque alimenta l’economia del gigante USA. E sta avvelenando il dibattito pubblico. In Texas infatti, è scoppiato un vero e proprio scontro con il governo federale sulle politiche per il controllo dell’immigrazione. Il governatore Greg Abbott ha “isolato” la frontiera con il Messico con filo spinato che corre per quasi 50 kilometri, nel tentativo di ridurre gli ingressi illegali. Disobbedendo alla Corte Suprema che ha bocciato il provvedimento. Ma il governatore Abbott non intende adeguarsi alla decisione, e non solo ha promesso altro filo spinato, ma ha anche rafforzato i pattugliamenti sul confine, condotti dalla Guardia nazionale e da milizie di cittadini. E l’iniziativa ha raccolto la solidarietà di altri Stati a guida repubblicana che si dicono pronti a inviare le loro guardie nazionali.

Donald Trump/ FOTO ANSA

In tutto questo trambusto si inserisce una campagna elettorale rovente. Dove l’ipocrisia della posizione di Biden sulla guerra a Gaza sta rosicchiando parecchi consensi e contribuisce inevitabilmente a far avanzare Trump. Che con le sue dichiarazioni e sentenze anti-Biden intercetta quella parte del Paese delusa dalla politica estera della Casa Bianca. Che ad oggi non sembra avere in mano la strategia giusta per una pace globale. Esiste infatti una larga parte del potere americano che è oggi pronta ad instaurare un dialogo con la Russia per sfruttarla in chiave anti-cinese. Un’opzione difficile da perseguire per l’amministrazione Biden che in una delle sue ultime dichiarazioni ha descritto per la seconda volta il presidente russo come un “macellaio. La crisi USA non può non preoccuparci e dovrebbe spingere noi europei a riflettere attentamente sul da farsi. Magari iniziando a comprendere che lo Zio Sam non è eterno.

Chiara Cavaliere

Attualità, Spettacolo e Approfondimenti

Siciliana trapiantata nella Capitale, dopo la maturità classica ha coltivato la passione per le scienze umane laureandosi in Scienze Politiche alla Luiss Guido Carli. Senza mai abbandonare il sogno della recitazione per cui ha collaborato con le più importanti produzioni cinematografiche italiane tra cui Lux Vide, Lotus e Italian International Film.
Si occupa di attualità e degli approfondimenti culturali e sociali di MAG Life, con incursioni video. Parla fluentemente inglese e spagnolo; la scrittura è la sua forma di attivismo sociale. Il suo mito? Oriana Fallaci.

Pulsante per tornare all'inizio