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I bambini di Gaza sotto le bombe stanno morendo di fame

Hamas non libera gli ostaggi, Israele si prepara a invadere via terra anche Rafah. A perdere la vita sono soprattutto le donne e i loro figli ancora piccoli

A Rafah, nell’estremo Sud della Striscia di Gaza, i palestinesi contano le ore che mancano all’attacco via terra di Israele. Nel Nord della Striscia – raso al suolo dai bombardamenti e dall’invasione Israeliana – gli abitanti rimasti, circa 300mila persone, non hanno più da mangiare. La situazione umanitaria è al collasso. Far giungere aiuti è sempre più complicato. Anche a causa delle polemiche sull’UNRWA, l’Agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, che Israele sostiene essere sotto il controllo dei terroristi di Hamas. La popolazione ha esaurito le scorte di cibo e i bambini hanno cominciato a morire di fame. 

Secondo uno studio del Global Nutrition Cluster, un gruppo di associazioni che si occupano di diritto all’alimentazione, nel Nord della Striscia di Gaza la situazione umanitaria presenta alcuni dati, in particolare. Ad esempio che il 15,6% dei bambini con meno di 2 anni è gravemente malnutrito, e circa il 3% è in pericolo di vita. I dati, avverte ilPost.it, sono di gennaio 2024: in due mesi è pressoché certo che siano ulteriormente peggiorati.

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Bambini palestinesi in fila con le loro pentole e contenitori in attesa di ricevere cibo a Deir Al Balah, nella Striscia di Gaza. Foto Ansa/Epa Mohammed Saber

Gaza, bimbi malati e senz’acqua

Dallo studio del Global Nutrition Cluster emerge che più del 90% dei bambini di età compresa tra 6 e 23 mesi e delle donne incinte e che allattano si trovano ad affrontare una grave povertà alimentare. Il cibo a cui hanno accesso ogni giorno ha il valore nutrizionale più basso. E appartiene a due o meno gruppi alimentari. Almeno il 90% dei bambini sotto i 5 anni è affetto da una o più malattie infettive e il 70% ha avuto diarrea nelle ultime due settimane. L’81% delle famiglie non dispone di acqua sicura e pulita, con un accesso medio familiare inferiore a un litro per persona al giorno. Questo valore è ben lontano dallo standard minimo di 15 litri per persona al giorno e costituisce una preoccupazione particolare per i bambini nutriti con latte artificiale.

Come è noto il 7 ottobre 2023 è scoppiata la guerra a seguito del pogrom nazista di Hamas contro alcuni kibbutz israeliani (1200 morti, molti dei quali torturati e violentati, e 200 ostaggi rapiti). La risposta di Israele è stata ferocemente sproporzionata. Persino secondo il cardinale Segretario di Stato del Vaticano, Pierto Parolin, che dopo 5 mesi di guerra, pur astenendosi dall’usare il controverso termine di “genocidio ha comunque stigmatizzato la “carneficina” che le forze armate israeliane stanno facendo. Un massacro senza fine di 30mila palestinesi, di cui la gran parte donne e bambini.

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Una donna passa mentre i bambini palestinesi giocano accanto alle loro tende nel campo di Rafah. Foto Ansa/Epa Haitam Imad

La storia della piccola Sahar

Oggi la gran parte della popolazione di Gaza ha dovuto diminuire il numero di pasti consumati in un giorno, e circa il 60% delle famiglie ne consuma solo uno. Molti adulti stanno riducendo le proprie porzioni, già molto scarse, per offrire del cibo ai figli.

Il quotidiano americano The Washington Post ha raccontato la storia della piccola Sahar al-Zebdda. Si tratta di una bambina palestinese nata in un ospedale di Gaza: è morta a soli 47 giorni di vita, un mese e mezzo, a causa della malnutrizione. La madre non poteva più allattarla e la famiglia non riusciva a trovare il latte in polvere. “Ci aspettavamo che qualcuno di noi sarebbe morto a causa dei bombardamenti o dei proiettili. Non pensavamo che la bambina, nata e vissuta sempre durante la guerra, sarebbe morta di fame” ha detto il padre, Tawfiq al-Zebdda, di 27 anni.

Dall’inizio della guerra, 5 mesi fa, la famiglia al-Zebdda è stata evacuata 5 volte in vari rifugi di emergenza. Ma non ha potuto spostarsi a sud, come l’esercito israeliano ha imposto di fare a chi voleva salvarsi la vita. Perché la moglie di Tawfiq era al sesto mese di gravidanza. La figlia Sahar è nata con un parto cesareo in un ospedale senza elettricità.

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Una madre in lutto di due gemelle, parte di una famiglia palestinese uccisa a seguito di un attacco aereo israeliano che ha ucciso 14 persone, culla i loro corpi fasciati, fuori dall’ospedale Al-Najjar a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, il 3 marzo 2024. Foto Ansa/Epa Haitam Imad

Ospedali e aiuti, la situazione a Gaza

Su Twitter il direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha scritto che la situazione negli ospedali Kamal Adwan e al Awda, entrambi nel Nord di Gaza, è “spaventosa“. Mancano il carburante, l’acqua, il cibo e i dispositivi medici, e alcuni edifici sono danneggiati o distrutti. La situazione è leggermente meno disastrosa nel Sud della Striscia di Gaza.

Per provare a capire meglio che cosa significhi oggi la fame nel Nord della Striscia di Gaza, basti pensare a quando accaduto il 29 febbraio 2024. Oltre 100 civili palestinesi sono morti uccisi dai militari israeliani e in parte schiacciati dalla calca, e molti altri sono stati feriti – circa 760 persone – mentre aspettavano di ricevere cibo da uno dei rari camion umanitari arrivati lungo la strada costiera di al Arashid.

E proprio dalla fine di febbraio, in coincidenza con questo crimne, il Programma alimentare mondiale (Pam) ha interrotto le consegne di generi alimentari nel Nord della Striscia a causa dei continui attacchi subiti dal personale che trasportava gli aiuti. Alcuni paesi, tra cui il Regno Unito e gli Stati Uniti, hanno cominciato a lanciare aiuti umanitari dagli aerei. Una soluzione criticata da varie organizzazioni umanitarie perché considerata molto costosa e poco efficiente.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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