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Strage di Erba, si decide se rifare il processo: folla in coda all’udienza

Alla fine Olindo e Rosa potrebbero essere liberati dall'ergastolo. Un'altra verità, tutta da dimostrare, riguarda una vendetta per droga

Si svolge al tribunale di Brescia, il 1 marzo, l’udienza sull’istanza di revisione del processo per la strage di Erba dell’11 dicembre 2006. I giudici esamineranno nel merito la richiesta: se i rilievi della difesa risulteranno validi comincerà il nuovo processo, altrimenti sarà confermata la condanna. La coppia di coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi sta scontando l’ergastolo in carcere come esecutrice della mattanza dei vicini di casa, in cui morirono 4 persone. Ossia Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk, Paola Galli e Valeria Cherubini. Romano e Bazzi sono stati condannati in via definitiva con sentenza confermata in Cassazione ma il caso si è clamorosamente riaperto. E alla fine i due potrebbero essere scagionati.

Lo scorso anno il procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, ha sollecitato il riesame di tutta la vicenda. Le lacune non mancano: sulla dinamica dei fatti, sul movente e circa le prove addotte durante il procedimento. Gli stessi presunti assassini, Olindo Romano e Rosa Bazzi, si sono a un certo punto accusati del massacro, poi hanno ritrattato. Adesso, in una lettera, Olindo Romano spera “in un processo sereno e oggettivo, ringrazia il sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser e ribadisce l’innocenza propria e di sua moglie Rosa Bazzi“.

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Foto Ansa/Filippo Venezia

Strage di Erba, cosa successe quel giorno

Testimone oculare, prova scientifica e confessioni. Sono questi gli elementi della discordia sulla strage di Erba. Quel giorno, l’11 dicembre 2006, in circa 20 minuti, a partire dalle ore 20, con armi mai trovate l’omicida, o gli omicidi, massacrano con ferocia Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk di soli 2 anni, la nonna del piccolo Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Quest’ultima era accorsa dopo le fiamme divampate nell’appartamento. Si salverà il marito Mario Frigerio, gravemente ferito alla carotide, unico testimone oculare della strage che si è ritenuto fosse legata a contrasti di vicinato.

Da subito l’attenzione dei carabinieri si focalizza sui coniugi Romano. Contro di loro c’è la macchia di sangue trovata il 26 dicembre sull’auto di Olindo. E Frigerio che dal letto d’ospedale riconosce in Olindo il suo aggressore. L’8 gennaio del 2008 le forze dell’ordine fermano Olindo Romano e Rosa Bazzi. Due giorni dopo diranno “Siamo stati noi“, assumendosi la responsabilità della mattanza. Caso chiuso a leggere le sentenze, che a quelle tre prove dedicano decine di pagine. E che la difesa prova a smontare nella richiesta di revisione.

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L’avvocato Fabio Schembri del pool difensivo dei coniugi Romano. Foto Ansa/Filippo Venezia

La “falsa memoria

Mario Frigerio, morto nel 2014, era l’unico sopravvissuto e il solo testimone oculare. Dal 15 al 26 dicembre del 2006 gli inquirenti lo interrogano 8 volte. Prima riferisce di un killer sconosciuto con la pelle olivastra, poi, dal 2 gennaio 2007, parla di Olindo come del suo aggressore. In aula, a Como, punta il dito contro i due imputati. Ma le lesioni riportate e in particolar modo “l’intossicazione da monossido di carbonio” per la difesa “hanno determinato il decadimento di funzioni cognitive importanti, come alterazioni della memoria, della capacità di ricordare e della capacità di orientamento“. La difesa parla in pratica di una “falsa memoria (di Frigerio, ndr.) in merito a Olindo Romano quale aggressore“.

Le “false confessioni

Un pool di 12 esperti ha riferito alla difesa di Olindo e Rosa che le confessioni dei coniugi non sono una ‘prova regina’ perché sono “false“. Infarcite di “errori” e “discrepanze“. Secondo il pool difensivo, “quelle che vengono definite confessioni sono, in realtà, una serie di ‘sì’ a suggerimenti sotto forma di domande chiuse” che nulla aggiungono rispetto a dettagli noti sulla strage di Erba. E si definisce “incontrovertibilmente falsa” anche la narrazione sulla dinamica dell’omicidio della vicina di casa Valeria Cherubini.

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Azouz Marzouk arriva per assistere all’udienza. Foto Ansa/Filippo Venezia

La macchia di sangue

La traccia della vittima Valeria Cherubini trovata sul battitacco dell’auto di Olindo avrebbe una genesi sospetta, a dire della difesa dei coniugi Romano. I carabinieri visionano l’auto due volte. La prima a poche ore dalla strage, poi la sera del 26 dicembre. Le operazioni di ispezione, repertazione e verbalizzazione avvengono con tempi e modalità ritenute non trasparenti. E con sospetta superficialità. Una prova che per il sostituto pg di Milano, Cuno Tarfusser, “trasuda criticità“.

Un’altra possibile verità

Nei mesi scorsi l’avvocatessa Luisa Bordeaux, che difende Olindo Romano e Rosa Bazzi, aveva svelato il contenuto di una telefonata particolare. Nel corso del terzo episodio del podcast Il grande abbaglio, dei giornalisti Felice Manti ed Edoardo Montolli, autori dell’omonimo libro-inchiesta sulla strage di Erba, Bordeaux aveva detto di aver ricevuto una ‘doppia’ telefonata il 29 dicembre 2008. Prima a casa e successivamente nel suo ufficio. Un uomo con l’accento del sud presentatosi come ‘Morabito’, sosteneva che i due coniugi, appena condannati a Como, fossero innocenti. E che, per contro, il movente della strage di Erba andava individuato nella scomparsa di una partita di droga del valore di 400mila euro. Si tratta soltanto di un’ipotesi. Che forse, adesso, in sede di revisione processuale si tenterà di corroborare con delle prove.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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