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Facebook fa 20 anni ed è più potente di un Governo

Ma Zuckerberg, convocato dal Senato degli Stati Uniti, deve chiedere scusa per i ragazzi morti e abusati a causa del suo social media

Un bilancio complesso e contrastato quello che si può fare dei primi vent’anni di Facebook, compiuti il 4 febbraio. Lo stesso fondatore e amministratore, l’ormai milionario Mark Zuckerberg (che nel 2004 aveva 20 anni) non lo ha passato nel migliore dei modi. Il 31 gennaio si è visto costretto dal Senato americano a chiedere scusa a un gruppo di famiglie di ragazzi e ragazze che sono morti suicidi, o sono stati vittime di abusi sessuali, a causa dell’uso del suo social media negli Stati Uniti. Si può immaginare come si sia consolato. Il giorno dopo sono emersi i dati finanziari delle sue aziende social per l’ultimo trimestre del 2023: hanno triplicato gli utili a 14 miliardi di dollari. E il fatturato è cresciuto del 25%. 

In Senato le scuse del Ceo (amministratore delegato) di Meta (la corporation che possiede Facebook, Messenger, Whatsapp e Instagram) sono giunte dopo molto imbarazzo sotto le incalzanti domande dei senatori, davanti alla Commissione Giustizia. La quale aveva convocato assieme a lui gli amministratori di tutte le principali piattaforme social statunitensi. In pratica di quasi tutti i più importanti social mondiali. “Mi dispiace” per “le cose che le vostre famiglie hanno sofferto” ha dichiarato Zuckerberg alzandosi e rivolgendosi ai familiari della vittime dietro di lui. “È per questo che investiamo così tanto e continueremo a fare sforzi a livello di settore per assicurarci che nessuno debba affrontare le cose che le vostre famiglie hanno dovuto soffrire” ha dichiarato.

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Mark Zuckerberg alla Commissione Giustizia del Senato Usa il 31 gennaio 2024. Foto Ansa/Epa Tasos Katopodis

Facebook più potente degli Stati

Ma Facebook – oltre 3 miliardi di utenti attivi al mese, il 40% della popolazione di tutto il pianeta, e quasi 120mila miliardi di fatturato all’anno – è una potenza superiore al Senato americano. E forse agli stessi Governi di molti paesi del mondo. Dunque, vent’anni dopo la sua nascita e il suo vorticoso sviluppo, Facebook non soltanto ha cambiato le nostre vite, così come gli altri social media. Non soltanto ha distrutto la nozione tradizionale di privacy e riservatezza dei dati personali, assumendo un carattere pervasivo e in molti casi dominante nella vita quotidiana di molte persone.

Ma è diventato una realtà che non si può realisticamente immaginare di regolamentare in tramite decreti e leggi e reprimende, per quanto utili e importanti. Tutte cose necessarie, certo, ma non sufficienti. Si può invece pensare di provare a orientarne i contenuti tramite un’attenta selezioneda parte degli utenti – di contenuti e immagini che esso veicola e offre. Educando, cioè, il proprio desiderio su cosa cerchiamo via Facebook, possiamo progressivamente costringere i dirigenti di questo business immane a riorientare l’indirizzo di questo come degli altri social media. Possiamo farlo anche boicottando massivamente tutto ciò che di sbagliato e malvagio c’è su Facebook. Perché Meta è un’impresa volta a fare profitto e se i suoi dirigenti capiscono che per non perdere clienti e affari occorre cambiare, lo faranno.

Il potere politico di questo social

Da elenco fotografico online degli studenti di Harvard, negli Usa, Facebook è diventato una gigante planetario della tecnologia e della pubblicità su Internet. Così come è stato un veicolo determinante di alcuni processi storici. Nel 2011, ad esempio, la piattaforma ha svolto un ruolo chiave nelle proteste della Primavera araba. Anche i paesi democratici rimangono investiti in pieno dal risvolto politico di Facebook. Nel 2016 è scoppiato il problema dell’influenza russa sulle elezioni statunitensi che hanno portato Donald Trump alla presidenza. Centinaia di falsi profili russi avevano acquistato pubblicità per aumentare tensioni e malcontento prima delle presidenziali.

Nel 2018 è stata la volta dello scandalo Cambridge Analytica. La società britannica aveva usato, a loro insaputa, i dati di 50 milioni di utenti di Facebook per promuovere la vittoria di Trump due anni prima. In seguito a queste rivelazioni Mark Zuckerberg aveva promesso al Congresso degli Stati Uniti di voler combattere più efficacemente fenomeni come la dilagante disinformazione e l’hate speech: i discorsi di odio, razzismo e discriminazioni di cui Facebook e i social sono pieni. Anche in Europa sono cominciate cause giudiziarie in vari paesi contro i discorsi d’odio e le discriminazioni in rete.

Chi non vuole regalare dati, paghi

Alla fine del 2021 Facebook ha cambiato nome rinominandosi Meta, dal termine greco che significa “oltre”. La volontà è oggi quella di guardare al futuro tra visori ottici, realtà virtuale e Metaverso. Facebook, oggi sempre più dimenticato dai giovanissimi in favore di Instagram e TikTok, ha ammesso di aver perduto un milione di utenti attivi giornalieri nel solo mese di febbraio 2022. Tuttavia, all’inizio del 2024, il gruppo Meta ha raggiunto una capitalizzazione di mercato di oltre 1.000 miliardi di dollari e gli affari vanno a gonfie vele. Dallo scorso novembre, inoltre, Facebook e Instagram offrono una versione senza pubblicità, con un abbonamento a pagamento (tra i 10 e i 13 euro al mese) per gli utenti che non vogliono dare accesso ai propri dati personali.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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