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Riarmo, l’Europa spende sempre di più ma non è un buon affare

Un miliardo in scuola, sanità o ambiente genera da 2 a 4 volte i posti di lavoro prodotti dallo stesso investimento nell'industria delle armi

Negli ultimi 10 anni l’Europa ha percorso con decisione la strada del riarmo e di una sempre più intensa militarizzazione. Le spese militari dei paesi NATO della Ue sono cresciute di quasi il 50%, passando dai 145 miliardi di euro del 2014 a una previsione di bilancio di 215 miliardi a fine 2023. In pratica 70 miliardi in più. Duecentoquindici miliardi di euro è un importo simile a quello del Prodotto interno lordo (Pil) annuale di un paese come il Portogallo.

A raccontare questi dati è il recente rapporto Arming Europe – Military expenditures and their economic impact in Germany, Italy, and Spain. Si tratta di un’analisi che i tre uffici nazionali di Greenpeace in Germania, Italia e Spagna hanno commissionato a un team di esperti. Il rapporto analizza l’evoluzione delle spese militari in Europa e ne rivela il basso impatto economico e occupazionale, concentrandosi sui tre paesi committenti.

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Foto X @martinbroek

Riarmo e guerra in Ucraina

Con la guerra in Ucraina, si spiega nel testo, le spese militari per il riarmo europeo dovrebbero risultare aumentate, a fine 2023 di quasi il 10% in termini reali rispetto al 2022. In un solo anno un quinto in più di quel complessivo +50% dell’ultimo decennio.

Nel complesso, i paesi NATO della Ue spendono oggi l’1,8% del loro Prodotto interno lordo per le forze armate. In questo modo si stanno rapidamente avvicinando all’obiettivo del 2% che la NATO e gli Stati Uniti hanno fissato. La differenza decimale di un banale 0,2% non tragga in inganno. Si tratta di una montagna di denaro pubblico andrà prima o poi ad aggiungersi a quei 215 miliardi già contabilizzati in armamenti ed equipaggiamenti per la sicurezza dell’Europa.

2023, spese militari senza freni

Tornando a uno sguardo d’insieme sugli ultimi 10 anni, stando al rapporto di Greenpeace la Germania ha aumentato la spesa militare reale del +42%. L’Italia del +30% e la Spagna del +50%. In tutti e 3 i paesi l’aumento è interamente dovuto all’acquisizione di armi ed equipaggiamenti. Nel solo anno in corso, il 2023, la spesa per gli armamenti nei paesi europei della NATO ha raggiunto i 64,6 miliardi di euro. Negli ultimi 12 mesi la Germania ha triplicato la spesa per il riarmo, raggiungendo i 13 miliardi di euro. L’Italia ha raggiunto quota 5,9 miliardi; la Spagna 4,3 miliardi.

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La Germania è fra i paesi europei, con Italia e Spagna, che sta incrementando di più i propri armamenti. Foto X @tarabbo

Fondo per la pace“…e per il riarmo

In base ai dati dello Stockholm International Peace Research Institute, le importazioni di armi da parte dei paesi dell’Unione europea hanno subito un’impennata. Fino a triplicare tra il 2018 e il 2022. La metà di tutte le importazioni proviene dagli Usa. Dopo decenni di assenza nelle questioni militari, la Ue ha lanciato il Fondo europeo per la difesa, con 7,9 miliardi di euro per la ricerca e la produzione di nuovi armamenti nel periodo 2021-2027.

E c’è pure il Fondo europeo per la pace (sic!), con 12 miliardi di euro per aiuti e forniture militari fuori dall’Unione fino al 2027. “Un simile aumento della spesa militare e dell’acquisto delle armi è in netto contrasto con la stagnazione delle economie” europee, affermano gli esperti che hanno redatto il rapporto Arming Europe. Nell’aggregato dei paesi Ue della NATO, tra il 2013 e il 2023, il Pil reale è aumentato del +12% (poco più dell’1% in media all’anno), l’occupazione totale del +9% ma le spese militari del +46%.

Più spese militari, meno welfare

In un contesto di difficoltà delle finanze pubbliche, tale aumento della spesa militare è avvenuto a scapito di altre voci di spesa pubblica: sanità, istruzione, protezione ambientale. Qual è, però l’effetto economico della spesa militare in termini di crescita e occupazione? In Germania, una spesa di 1 miliardo di euro per l’acquisto di armi porta a un aumento della produzione interna di 1,2 miliardi, come anche in Spagna. In Italia, l’aumento risultante è di soli 741 milioni di euro, poiché una parte maggiore della spesa è destinata alle importazioni. L’effetto proiettato sull’occupazione sarebbe di 6mila nuovi posti di lavoro in Germania, 3mila in Italia e 6.500 in Spagna.

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Foto X @wblake64

Più lavoro con scuola, sanità e ambiente

Il punto, però, è che se 1 miliardo non fosse speso per il riarmo ma per l’istruzione, o per la sanità, o per ambiente, l’impatto economico e occupazionale sarebbe maggiore. In termini di nuovi posti di lavoro, in Germania 1 miliardo potrebbe creare 11mila nuovi posti di lavoro nel settore ambientale, quasi 18mila posti di lavoro nell’istruzione, 15mila posti di lavoro nei servizi sanitari.

In Italia, i nuovi posti di lavoro andrebbero da 10mila nei servizi ambientali a quasi 14mila nell’istruzione. In Spagna l’effetto occupazionale sarebbe compreso tra 12mila nuovi posti di lavoro nel settore ambientale e 16mila nell’istruzione. “L’impatto sull’occupazione – si legge ancora nel rapporto di Greenpeace – è da 2 a 4 volte superiore a quello atteso da un aumento nella spesa per le armi.

Riarmo, un pessimo affare

In termini economici il riarmo, conclude il rapporto di Greenpeace, è un cattivo affare. L’aumento delle spese militari sta portando l’Europa su una traiettoria di minore crescita economica, minore creazione di posti di lavoro e peggiore qualità dello sviluppo. Le alternative – maggiori spese per l’ambiente, l’istruzione e la salute – avrebbero effetti migliori sulla crescita e sull’occupazione e porterebbero grandi benefici alla qualità della vita e dell’ambiente. In termini di sicurezza, un’Europa più militarizzata sarebbe più sicura? “Difficilmente potrebbe risolvere gli attuali conflitti” rispondono gli esperti che hanno redatto il rapporto. “Anzi, una nuova corsa agli armamenti rischia di destabilizzare ulteriormente l’ordine internazionale intorno all’Europa” concludono.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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