NewsPrimo piano

Iran, cure negate alla Premio Nobel per la Pace: “Si rifiuta di indossare il velo”

Mohammadi, da tempo in carcere, sarebbe in pericolo di vita, così come l'avvocatessa Sotoudeh, arrestata ai funerali di Armita Garawand

A poco più di un anno dalla morte di Mahsa Amini per mano della ‘polizia morale’ e delle rivolte contro l’obbligo del velo femminile, in Iran l’oppressione è sempre più forte. In primo luogo per le donne, i giovani e le minoranze etniche. Come se non bastasse, in questi giorni, dal 2 novembre, l’Iran assumerà, fra le polemiche, la presidenza di un forum sui diritti umani delle Nazioni Unite. 

Il 28 ottobre è morta Armita Garawand, la 16enne in coma dopo essere stata pestata nella metropolitana perché non indossava il velo. Ora arrivano brutte notizie circa la Premio Nobel per la Pace 2023, Narges Mohammadi. Per la seconda volta in 15 giorni, scrive sui social il blog francese Lettres de Teheran, dedicato alle vicende iraniane, “le autorità della prigione di Evin hanno annullato il trasferimento di Narges Mohammadi in ospedale per esami cardiologici urgenti“. E ciò “perché si rifiuta di indossare il velo“.

Narges Mohammadi Nobel Pace 2023
Narges Mohammadi. Foto Twitter @IranWireEnglish

Mohammadi, 51 anni, incarcerata a Teheran, è una veterana della lotta per la liberazione delle donne in Iran. Inoltre l’avvocatessa Nasrin Sotoudehè in sciopero della fame e delle medicine dopo il suo arresto arbitrario il 29 ottobre” ai funerali di Armita Garawand. La loro vitaè in pericolo“.

L’Iran contro la Premio Nobel

Secondo il blog Lettres de Teheran, a fronte della negazione delle cure urgenti, la Premo Nobel avrebbe affermato: “In onore del sangue versato dalle donne del mio Paese che hanno perso la vita sotto il giogo del regime religioso misogino, non farò un passo indietro“.

La fermezza e la dignità di Narges Mohammadi si staglia in un nuovo autunno di lotta e di dolore per molte donne dell’Iran. Come accennato, il 28 ottobre è avvenuta la morte di Armita Garawand, in coma dal 1° ottobre. Secondo varie organizzazioni per i diritti umani, qualcuno, forse un’addetta alla sicurezza, aveva picchiato l’adolescente all’interno di un vagone della metropolitana di Teheran fino a farle perdere conoscenza.

Il caso Armita Garawand

Per quattro settimane – sottolinea l’organizzazione internazionale per i diritti umani Amnesty International – le autorità iraniane hanno orchestrato una campagna negazione della verità. “Poi hanno vergognosamente arrestato chi stava prendendo parte al funerale“. Anche Lettres de Teheran riporta in un post social come il 29 ottobre “a margine del funerale di Armita sono avvenuti diverse decine di arresti molto violenti, compreso quello dell’avvocato Nasrin Sotoudeh“.

Secondo le nostre informazioni” specifica il blog, “gli arrestati sono stati appena trasferiti al tribunale del carcere di Evin (a Teheran, ndr.), che deciderà sul loro rilascio su cauzione o sulla loro detenzione“. Amnesty International ha chiesto alla comunità internazionale di pretendere dalle autorità iraniane che facciano entrare nel paese la Missione di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite. Ma anche altri osservatori indipendenti per indagare sulle cause del coma e poi della morte di Armita Garawand.

mahsa amini padre arrestato iran
Amjad Amini, il padre di Mahsa, in una foto diffusa dalla ong Hengaw che ha reso noto l’arresto dell’uomo avvenuto il 16 settembre 2023. Foto Ansa/Hengaw.net

Iran, la repressione dei beluci

Le autorità della teocrazia islamica dell’Iran, si spiega ancora sul sito di Amnesty,  “hanno intensificato i loro implacabili attacchi alle pacifiche proteste di migliaia di manifestanti e fedeli della minoranza oppressa dei beluci a Zahedan, nella provincia di Sistan e Belucistan“. Il 20 ottobre, un venerdì, il giorno sacro della preghiera per i musulmani, “le forze di sicurezza iraniane hanno fatto ricorso all’uso illegale di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua“. Ma anche di “violenti pestaggi, numerose e arbitrarie detenzioni, sparizioni forzate, torture e maltrattamenti“.

Le prove che Amnesty ha raccolto, tra cui video e interviste a testimoni oculari, hanno fornito un quadro desolante di brutalità contro migliaia di fedeli e manifestanti pacifici, compresi bambini e bambine. Centinaia di persone, tra cui numerosi minorenni, sono state arrestate con violenza e molte risultano scomparse. Sia i detenuti adulti che i minorennihanno subìtotorture e maltrattamenti, comprese violente percosse e lesionia causa dipalline di vernice sparate a distanza ravvicinata“.

Le autorità stanno intensificando la loro brutalità. Per impedire ai beluci di riunirsi ogni settimana a Zahedan” ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa. “I governi devono urgentemente esortare le autorità dell’Iran a fermare l’uso illegale della forza e delle armi contro i manifestanti pacifici“. E a smettere “di torturare i detenuti, oltre a liberare i minorenni e tutte le persone arrestate esclusivamente per l’esercizio pacifico dei loro diritti“.

Violenze di Stato contro i bambini

I testimoni oculari che Amnesty International ha incontrato hanno riferito di aver visto “le forze di sicurezza picchiare bambini di appena 10 anni e giovani e anziani con manganelli. Hanno trascinato i manifestanti per terra colpendoli e dando loro calci”. Gli agenti della repressione di Stato dell’Iran avrebbero inoltre “sparato gas lacrimogeni all’interno della moschea di Makki dopo che centinaia di manifestanti pacifici vi si erano rifugiati. E hanno arrestato con violenza il personale che ne presidiava l’ingresso“.

Torture sui detenuti

Un testimone, parente di cittadini beluci arrestati, ha riferito di come le forze di sicurezza abbiano fatto togliere le camicie ai detenuti. E li abbiano fatti stare di fronte al muro bendati. Poi di come abbiano loro sparato addosso palline di vernice: sulla schiena e sui fianchi, da vicino. Amnesty International ritiene che l’ultima escalation di violenza di Stato da parte dell’Iran sia legata agli sforzi per reprimere le proteste settimanali a Zahedan. L’organizzazione per i diritti umani dei beluci, al di fuori dell’Iran, Haalvsh, ha riferito che nel settembre 2023 il capo della polizia iraniana, Ahmadreza Radan, ha minacciato i capi tribali e religiosi locali in relazione alle proteste settimanali. Proteste e manifestazioni che continuano da oltre un anno dopo la rivolta per la morte di Mahsa Amini, al grido di “Donna, Vita, Libertà“.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

Pulsante per tornare all'inizio